Berlusconi

Pussy Riot, un libro sulle loro azioni: contro l’omofobia e il clericalismo putiniano

Massimo Ceresa, socio fondatore di Annaviva e attivista di Mondo in cammino ha prodotto un nuovo libro, che presenteremo alla Libreria popolare di via Tadino 18 (a Milano) venerdì 28 novembre alle 19.30. Il volume si intitola “Pussy Riot, le ragazze che hanno osato sfidare Putin”, un titolo che spiega già il filo conduttore di questo lavoro, su una tematica che – con Annaviva – abbiamo sostenuto attivamente, con più di una manifestazione.

Il volume di Ceresa è agile e si fa leggere ripercorrendo a ritroso la storia delle Pussy Riot, partendo da quel concerto (una esibizione di 45 secondi, in realtà) alla Cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca che le ha rese famose in tutto il mondo e soprattutto in tutta la Russia, costando a due di loro, una lunga carcerazione. Dettata solo da motivi politici, non certo dall’odio religioso, che compare nelle motivazioni della sentenza. Analizza Massimo Ceresa: “Le Pussy Riot amano la Russia, ma odiano Putin“. E chiunque segua le vicende russe capisce immediatamente come sia naturale questo odio-amore. Che se può funzionare alle nostre latitudini, è letale in quella democratura che è la “Russia di Putin” (titolo di uno dei meravigliosi libri della Politkovskaja).

Le Pussy Riot sono per di più femministe in un paese che dal presidente in giù ha fatto del machismo (e dell’omofobia) la sua cifra. Spiega Nadezhda Tolokonnikova, forse il simbolo di quelle Pussy Riot: “Purtroppo la Russia è ancora dominata dalla secolare immagine di una donna come custode del focolare, e di donne che allevano i figli da sole e senza nessun aiuto da parte degli uomini. Tale immagine continua a essere propugnata dalla Chiesa ortodossa russa, che vorrebbe di nuovo le donne in schiavitù, e l’idea di Putin di democrazia sovrana va nella stessa direzione, ossia rifiutare tutto ciò che è occidentale, incluso il femminismo“. Un motivo in più per contrastare il putinismo, che trova sempre più seguaci anche nel nostro (retrivo) paese.

Un messaggio, quello legato alle battaglie femministe che le Pussy Riot (rectius del collettivo sopravvissuto dopo l’uscita dal gruppo delle tre finite in carcere) lanciano anche dopo le condanne delle loro compagne, in un comunicato che è un vero manifesto politico: “Il nostro paese è dominato da uomini cattivi. Questi uomini pensano che sia illegale dirsi femministe e suonare musica punk. Questi uomini pensano che sia illegale combattere per i diritti della comunità gay e lesbica. Questi uomini pensano che non si possa criticare il governo, pensano che se canti e balli in modo non appropriato meriti due anni di carcere”.

Un messaggio questo che le ragazze con la balaclava diffondono,  bruciando – sul tetto di un palazzo – due grandi foto, una di Putin, l’altra di Lukashenko, altro soggetto che sta allevando il figlio – maschio, ovviamente e solo decenne – come suo – degno – erede.

Nel mirino delle Pussy Riot finisce non per caso il potere temporale della Chiesa ortodossa e ancora men per caso quella Cattedrale del Cristo Salvatore che è diventata il simbolo dei rapporti sempre più stretti tra il clero e il potere politico putiniano. Soprattutto da quando a guidare le gerarchie ecclesiastiche è arrivato Kiril, prelato che non disdegna orologi da migliaia di euro, anche se il suo ufficio stampa cerca – malamente – di cancellarlo dalle sue immagini ufficiali. Ma l’ombra (vero zampino del diavolo, verrebbe da dire) non si può cancellare. Come la vergogna.

Patriarca-Kirill con l'ombra di un orologio

E’ lo stesso patriarca che ha definito Putin un “miracolo di Dio“. Arrivando però dopo Berlusconi che nel 2010 aveva parlato del suo amico del cuore come di “un dono del Signore“. Signore che se ci fa di questi doni deve essere davvero molto arrabbiato con noi.

E’ stata la stessa Chiesa ortodossa a pretendere una punizione esemplare delle Pussy Riot, ricercate in tutta Mosca come pericolose terroriste e come tali trattate. Ma di quello che è successo allora e dopo parleremo venerdì prossimo nella nostra “sede milanese”. Spero di avervi incuriosito.

Vi aspetto. Con l’autore del libro e gli amici di Annaviva.

Ad maiora

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Massimo Ceresa

Pussy Riot, le ragazze che hanno osato sfidare Putin

2014, Carlo Spera editore

Un giorno da pecora. E il minestrone indigesto

Leggere il libro “Un giorno da pecora” di Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro in questi giorni ha un effetto straniante. Perché il gustoso volume di Chiarelettere nel raccontare i dietro le quinte della fortunata trasmissione di Radiodue ripercorre l’ultimo periodo elettorale, quello che non ha dato la maggioranza a nessuno degli schieramenti, portando prima a Letta poi a Patto del Nazareno e dintorni. Molte pagine sono dedicate a Mario Monti, ormai scomparso da tempo dai radar della politica. Altre invece si incentrano su Berlusconi. Personaggio che i due conduttori chiamano semplicemente “LUI”: «LUI è al tappeto. Il Pd ha il 32 per cento. Il Pdl è distante sedici punti. Il Pdl vale la metà del Pd. Ma LUI torna alla carica, ridiscende in campo e la sua colazione non vince per pochissimi voti (0,37 per cento). Il problema italiano no è quanto siano voltagabbana i politici. È quanto siano voltagabbana i cittadini».

Lauro e Sabelli Fioretti (in arte, il Simpatico e l’Anziano) dicono infatti che “la ragione si è presa un anno sabbatico”. Ma sono, temo, ottimisti.

Scrivono anche di come funziona la trasmissione, nella quale molti dei personaggi  pubblici danno il “meglio di sé”. A lezione, in Statale, mostro sempre il video in cui Scilipoti – dopo aver lasciato Di Pietro per salvare Berlusconi – declama le sue verità, parlando di sé in terza persona. Parecchi comunque stanno alla larga da Un giorno da pecora: «Quelli che non vengono da noi, l’Anziano Sabelli Fioretti li odia. Se potesse li picchierebbe. E si vendica tormentandoli. Vittima prediletta è , che non ne vuole sapere si rispondere ai nostri inviti nemmeno quando a consigliarglielo è il suo consulente Luigi Crespi. E così il simpatico Lauro annuncia tutti i giorni la sua presenza per poi smentirla. “Mara Carfagna, con noi!”».

Oltre a Scilipoti (che dopo quella mitica comparsata, non ha più replicato a livelli lontanamente paragonabili), un altro classico ospite di Un giorno da pecora è l’immarcescibile Carlo Giovanardi: «Parlare di omosessuali con Giovanardi è come parlare di frittura in casa dei calamari. Per il resto è un susseguirsi di battute che stenderebbero un elefante. Nemmeno il Simpatico e l’Anziano con la febbre a 40 potrebbero raggiungere simili livelli. “Il futuro è mio. Lo dicono tutti. Largo ai giovanardi.” Oppure: “Grillo? È un grullo. È il Grande Grullo. E i suoi parlamentari sono dei grullini”. Potrebbe andare avanti per giorni Giovanardi con queste battute agghiaccianti che declama con enorme soddisfazione. Quando parte l’umorismo giovanardiano il Simpatico e l’Anziano, invece di deprimersi, si galvanizzano. (…) Quando Giovanardi viene da noi la nostra pagina Facebook va in tilt, sommersa di centinaia di commenti. Sono tutti insulti, rivolti equanimemente a lui  che spara cazzate e a noi che continua mo a invitarlo. Ma noi non smetteremo di farlo».

I due giornalisti spesso pongono domande surreali agli ospiti, ma anche a sé stessi: «Il mondo è bello perché ci si può porre interrogativi epocali di questo genere, come fanno spesso il Simpatico e l’Anziano, senza che si spalanchino i cancelli dell’ospedale psichiatrico. Perché il cavallo si chiama destriero? Perché se vai a sbattere è un sinistro? Perché se sei bravo sei destro e se non bravo sei maldestro? Perché si offre il destro? Il Simpatico e l’Anziano sono degli intellettuali e quindi spesso si scoprono a speculare sui grandi temi della vita. Su destra e sinistra hanno una certezza. Chi dice che destra e sinistra non esistono più, è di destra. Inoltre mescolare destra e sinistra è contronatura. Produce un minestrone indigesto».

Minestrone che saremo costretti a mangiare per anni.

Ad maiora

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Claudio Sabelli Fioretti, Giorgio Lauro

Un giorno da pecora

Chiarelettere

Milano 2013

Pagg. 240

Euro 12,90

Eserciti di carta. La vittima è l’informazione

Ecco un libro che ho inserito nell’elenco degli spunti che consiglio agli studenti che vogliano fare la tesi su tematiche televisive. Questo Eserciti di carta, come si fa informazione in Italia di Ferdinando Giugliano e John Lloyd (Feltrinelli) è un volume che analizza il ventennio berlusconiano ma visto principalmente sul fronte televisivo. Che è stato decisivo, come sapete.

Il volume analizza i rapporti tra il magnate di Sky e quello di Mediaset, con un interessante confronto: «Un’analogia fra Murdoch e Berlusconi è che tutti e due si sono, almeno inizialmente, messi contro l’establishment dei loro rispettivi paesi. Entrambi amano dunque dipingersi come degli outsider, degli iconoclasti, come delle forze destabilizzanti che cercano di rimuovere quel marcio che ha costretto i cittadini in un vicolo cieco fatto di inefficienze, letargo e ideologie obsolete. Tra i miti a cui né Berlusconi né Murdoch credono c’è quello della divisione dei poteri, uno dei capisaldi delle democrazie occidentali. A questo mito viene contrapposta una visione molto meno complessa della realtà, quella presente nelle televisioni e nei tabloid, dove qualsiasi questione può essere risolta immediatamente. (…) Per quanto profonde siano le somiglianze fra Murdoch e Berlusconi, va sottolineato che il magnate australiano non ha mai provato a scendere in politica in prima persona. E nonostante egli abbia influenzato per molti anni le scelte dei politici inglesi, il suo potere è oggi fortemente ridimensionato. (…) Più in generale, è legittimo sostenere che nessun leader di un paese democratico in Europa, Nord America, Giappone o Australia ha potuto beneficiare di una concentrazione di potere mediatico e politico simile a quella di cui ha potuto godere Silvio Berlusconi».

Il volume di Giugliano e Lloyd sottolinea come la negatività della figura di Berlusconi sia stato anche quello di aver costretto i giornalisti a schierarsi: o con lui o contro di lui. Con inevitabili (ed evidenti) conseguenze negative per la professione: «Il bipolarismo giornalistico è stato la logica conseguenza per un paese la cui storia politica è diventata, fondamentalmente, la storia di Berlusconi, narrata in decine di migliaia di ore di televisione che lo dipingono in maniera perlopiù positiva; in migliaia di articoli di giornale che me offrono un giudizio misto, a seconda di chi sia il proprietario della testata; e in centinaia di libri e saggi che sono per lo più critici nei confronti del Cavaliere. Nel corso del ventennio berlusconiano, le divisioni nel mondo del giornalismo si sono accentuate, con la destra prima, e la sinistra poi, che hanno preso posizioni intransigenti e iper aggressive l’una nei confronti dell’altra».

Gli autori descrivono dettagliatamente anche il ruolo di supplenza esercitato da Repubblica negli anni in cui la sinistra politica non è stata in grado di contrastare seriamente Berlusconi. Un ruolo più “politico” che giornalistico.

Sulla sponda opposta si è avuto Il Giornale di Feltri e il metodo Boffo. Ma anche e soprattutto, seppure con metodologie diverse, il settimanale berlusconiano Chi che si occupa di politica e lo fa «confondendo politica, costume e pettegolezzo, influenzando il lettore in maniera più subliminale e, pertanto, più efficace». Viene ricordata anche la puntata di Kalispera dedicata all‘intervista di Signorini a Ruby : «A essere premiata non è più la capacità di costruire inchieste attente alla verità e ai dettagli, ma quella di presentare in maniera verosimile storie anche false ma comunque utili nell’ambito dello scontro politico». Il finto ex fidanzato. E non solo.

C’è poi la vicenda del Tg1 a guida Minzolini (ora, giustamente, senatore berlusconiano) con i dati relativi allo squilibrio nei confronti di governo e maggioranza (che fu, fino alla secessione finiana, “bulgara”). E malgrado le difficoltà in atto, i due autori concludono sostenendo che il futuro del giornalismo italiano potrà passare dalla Rai. Speriamo che qualcuno a Palazzo Chigi se ne accorga.

Ad maiora

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Ferdinando Giugliano e John Lloyd

Eserciti di carta, come si fa informazione in Italia

Feltrinelli

Milano, 2013

Euro 18

“L’ha detto la tv”. Tecniche e modelli di persuasione televisiva

Quali sono le tecniche e i modelli per la persuasione mediatica? È questo il tema al centro della tesi di Federica Pollastrelli, in discussione in questi giorni alla Statale di Milano.
Un lavoro che parte da una forte analisi teorica, analizzando le teorie del passato fino a quelle più recenti, dall’agenda setting alla spirale del silenzio.
La tesi non ignora quanto successo in Italia in questi anni, dal caso di Berlusconi alla spettacolarizzazione che ha travolto gran parte dell’informazione televisiva italiana. Trasformando anche le tragedie in intrattenimento, con la tv del dolore.
La Pollastrelli conclude il suo lavoro sottolineando l’ossessione per il corpo, per quello femminile in particolare. Creando degli stereotipi femminili e velinizzando la presenza di molte donne in tv, anche in programmi cosiddetti seri.
Un modo per far capire come la tv, nei confronti del mondo femminile, ma non solo, modifichi il nostro modo di percepire la realtà.
Ad maiora

L’Eni dopo Scaroni: che ne sarà della liaison con la Russia di Putin?

Finisce dopo 9 anni la gestione di Eni da parte di Paolo Scaroni. Messo lì da Berlusconi (i rapporti tra i due sono molto buoni: l’ex cavaliere anni fa gli ha regalato un piccolo pacchetto di azioni del Milan) non era mai stato sostituito nemmeno dai governi di centro-sinistra.

L’asse creata dall’Eni di Scaroni con la Russia di Putin ha infatti sempre trovato un appoggio bipartisan. Berlusconi è da immemore tempo uno dei migliori alleati dell’uomo forte del Cremlino. E il primo viaggio di Bersani da ministro per lo Sviluppo economico fu proprio a San Pietroburgo, con Eni ed Enel.

Le due società statali italiane hanno partecipato, proprio in quegli anni, all’asta seguita all’esproprio delle azioni della Yukos, la società di Khodorkovskij fatta fallire perché l’oligarca non aveva piegato la testa davanti a Putin. Comprando pacchetti azionari e poi rivendendoli a Gazprom, il potente braccio gassoso dell’armata putiniana.

Ora arriva alla guida di Eni  (alla presidenza) Emma Marceglia. Ricordo che quando, come presidente di Confindustria, organizzò un viaggio a Mosca, Annaviva scrisse a lei e a una serie di imprenditori (in partenza per fare affari nell’ex terra dei Soviet) una lettera aperta, ricordando loro quel che succedeva ad alcuni loro colleghi, come Khodorkovskij e Lebedev.

La lettera non ebbe risposta.

Ad maiora