Sono tornato a Kiev. E l’ho trovata parecchio cambiata.
La guerra (ora congelata dagli accordi di Minsk) dista centinaia di chilometri dalla capitale ucraina. Dove però si sente l’aria di retrovia. Mi ha ricordato Zagabria mentre i serbi conquistavano Vukovar (dove però c’erano allarmi aerei continui). Anche qui come lì, la sera scatta una sorta di coprifuoco e pochi escono di casa.
In Majdan non ci sono più i manifestanti. Ma, approfittando di una prolungata estate, una mostra fotografica ricorda EuroMaidan.
È soprattutto rimangono fiori e lumini nei luoghi dove ci sono stati i caduti. E sulla salita (ora chiusa al traffico) c’è una sequenza impressionante di foto di quanti hanno perso la vita per vedere l’Ucraina in Europa:
La cosa che più fa percepire l’aria di guerra (e che non avevo mai trovato nei miei precedenti viaggi, pre, durante e dopo la rivoluzione arancione) è che ci sono bandiere nazionali ovunque e che è tutto colorato di giallo e azzurro.
Anche allo stadio, più che le sciarpe della squadra del cuore, i tifosi sventolavano la bandiera nazionale.
Segno che l’offensiva putiniana a est ha compattato un senso di ucrainità, prima meno evidente. A proposito di Putin, da segnalare che in tutti i mercatini (in quelli sotterranei ma non solo) i principali gadget in vendita sono contro il presidentissimo russo. Dai tappetini su cui pulirsi i piedi alla carta igienica.
Da segnalare che negli stessi mercatini sono quasi scomparsi i souvenir sovietici, segno anche questo di un volersi ulteriormente affermare dal passato di unità coi russi. Anche solo a suon di cover per IPhone.
Lo spirito (post)sovietico lo si ritrova ancora in qualche angolo, come il noleggiatore di auto che ironizza su Majdan.
O nel ristorante dove per entrare si cammina sui volti di Putin e Yanukovich.
Qualche segno del passato lo si può notare agli angoli delle strade dove le babushke sono ancora lì a vendere i loro fiori.
Fino a quando resisteranno?
Ad maiora