Slovenia

Una Cortina verde al posto di quella di ferro

Verde cortina è un libro nato da un’idea e dal crowfunding, al quale ha contribuito anche chi scrive queste righe. Sono quindi doppiamente contento di questa recensione.

E lo sono ancora di più perché affronta un tema intorno al quale lavoro da quando faccio il giornalista: quello dei confini. Ci sono confini geografici e confini umani. Verde cortina è un viaggio fatto dal giornalista Matteo Tacconi dal fotografo Ignacio Maria Coccia lungo quel che resta dal peggiore dei confini umani recenti: quello che noi abbiamo sempre chiamato Muro di Berlino, ma che di fatto si espandeva dal Mar Baltico al Mar Mediterraneo. Le ultime pagine sono dedicate proprio a luoghi più vicini a noi e si concentrano, con foto e testi, su Trieste e Gorizia con le loro “nostalgie di frontiere”. Tra Gorizia e Nova Gorica il triste muro (anzi, muretto, sovrastato da una rete) che divideva in due la cittadina è stato abbattuto. Ma restano delle differenze tra di qua e di là: “Dal 2008, quando la Slovenia ha aderito all’area Schengen, da Gorizia a Nova Gorica e da Nova Gorica a Gorizia si circola liberamente. Almeno da questo punto di vista è come se fossero tornate un’unica città. Per il resto, sono tante le differenze. A partire dall’economia. Quella di Nova Gorica, in buona misura, è fondata sul vizio, con una concentrazione e significativa di night club e casinò. L’economia di Gorizia è in fase di decadenza. La città è orfana della frontiera”. Bolli e dogane c’erano infatti un’economia drogata che ora è scomparsa.

La cosa comunque consolante del viaggio di Matteo e Ignacio lungo l’ex cortina di ferro è che si è trasformata in una lunga linea verde che unisce in qualche modo l’Europa, da nord a sud. Intorno a muri e garitte infatti non si lite a costruire e tolte quelle divisioni la natura ha continuato a fare il suo corso creando una lunga striscia ambientale, quella Verde cortina che dà appunto titolo al volume. Che ha nei testi di Matteo Tacconi offre un interessante racconto di ciò che era e di ciò che è rimasto lungo quel pezzo di terra che ha dettato i tempi della storia recente del Vecchio continente. E negli scatti di Ignacio Maria Coccia il paradosso di confini che un tempo facevano paura e soggezione è che ora mettono solo tristezza. La cosa consolante è che per fermare madre natura non bastano né muri, né fili spinati.

Ad maiora

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Matteo Tacconi e Ignacio Maria Coccia

Verde cortina

Capponi Editore

Pagg. 180

Euro 20

Verso #staffettaMi #cityrunners un bilancio (e un appello)

Per la staffetta della Maratona di Milano che correrò domenica ho iniziato ad allenarmi il 21 novembre. Lavoravo ancora al Tg Regionale allora, prima di passare a RaiSport.

Alla Maratona mancavano 135 giorni. Ora ne mancano solo 2…
Ho fatto 38 allenamenti da allora, migliorando decisamente il modo di correre e di affrontare la fatica da quando siamo stati affiancati da un’allenatrice (l’ottima Irene Petrolini) e da quando ho partecipato agli incontri di #cityrunners.
Mi sono allenato anche in Slovenia e Serbia.
Ma per lo più al Parco Sempione.
Avendo smesso di correre con la musica, mi sono guardato un po’ di più in giro e mi sono messo a contare gli altri runner e la marea di cani senza guinzaglio che occupano praticamente ogni spazio verde. Alla fine di questi mesi una sola domanda: perché non vengono trasformate le aree per i cani in aree per bambini, recintate? Forse sarebbe l’unico modo di proteggere almeno un pezzetto di verde, non dai dolci quadrupedi ma dai loro maleducati accompagnatori bipedi.
Ah, un’altra cosa che ho notato sono le tante macchine e camion che circolano per il parco. Oltre alle strutture invadenti che il Comune di Milano lascia piazzare intorno a piazza del Cannone. Sul percorso running che lo stesso comune ha disegnato. Mah.
Tornando alla corsa, ho percorso in questi 5 mesi quasi 300 chilometri (298 per l’esattezza).
Domenica, essendo il primo staffettista (You live we run, il nome della nostra squadra) ne dovrò percorrere 13,5.
Spero di non sfigurare.
Ma anche se lo farò, niente di grave. Corriamo non tanto per fare bella figura noi quanto per aiutare Spazio Servizi, precisamente per i loro progetti in sostegno di bambini con difficoltà famigliari.
Se volete potete dar loro una mano anche voi.
Dai, proviamoci
Ad maiora

L’icona di Tito

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Oggi potrebbe essere una buona giornata per andare a Lubiana per vedere la nostra “Tito, a Yugoslavian Icon”, che rimarrà aperta nella capitale slovena fino al 28 febbraio.
La mostra ripercorre la vita del presidente jugoslavo, carica cui fu eletto proprio il 13 gennaio 1953 e che tenne fino al 4 maggio 1980, giorno della sua morte. Che fu, di fatto, anche la fine della Jugoslavia.

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Nella mostra, organizzata nella capitale slovena (la prima a lasciare, con la Croazia, la Jugoslavia, senza più Tito) non solo le foto della mirabolante vita del partigiano-presidente, ma anche l’iconografia della vita del paese a quel tempo.

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Ci sono anche cimeli storici e una sezione dedicata al funerali che coinvolsero tutti gli jugoslavi.

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Non manca nemmeno un accenno alle ombre nella storia di Tito, con gli oppositore politici spediti sull’isola Calva.


Una mostra iconografica e interessante. Aperta pochi giorni dopo la scomparsa della vedova del dittatore, Jovanka Broz, morta ad ottobre a Belgrado. Ultima icona di un regime che rivive ormai solo in musei, libri di storia e ricordi.
Ad maiora

Volto pagina

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Sono entrato per la prima volta in contatto con la Rai, anzi con la Tgr, Testata giornalistica regionale nel lontano 1991. Caporedattore centrale della redazione lombarda era Arturo Viola (che perse il posto per le difficoltà di copertura della strage di via Palestro; da allora vennero introdotti i mezzi di emergenza, presenti 24 ore al giorno). Il mio capo diretto era però Gilberto Squizzato, caporedattore degli Speciali (il mio mentore, quasi tutto quel che so di tv me lo ha spiegato lui, il resto l’ho imparato sul campo, grazie soprattutto agli operatori Rai). Contattò il mio ‘capo’ al Corriere, il mitico Raffaele Fiengo, chiedendo alcuni nomi di giovani collaboratori. Tra loro c’ero anche io che non solo collaboravo da qualche tempo con una tv (Lombardia 7), ma avevo già avuto anche esperienze internazionali (guerre in Slovenia e Croazia, rivolta dei minatori in Romania) grazie alla lungimiranza di quello che allora era il mio editore e che ora guida (all’opposizione) la pattuglia di Forza Italia al Senato, Paolo Romani.
In Rai arrivai sull’onda del cosiddetto Piano Milano (sorta di Piano Marshall in sedicesimi) che portò assunzioni, nomine ed edizioni di Tg nazionali (è rimasto solo il Tg3 delle 12).
Io finii (da collaboratore) nella redazione di Europa, trasmissione di Esteri che inizialmente andava in onda la sera su Rai1. Ho girato così ogni angolo del Vecchio Continente, accumulando servizi ed esperienze. Dal 1994 uno stop di tre anni: la direzione di testata non mi voleva più. Sono comparso in decine di comunicati sindacali (dell’Usigrai) prima di tornare in redazione nel 1997. Caporedattore era Antonio Di Bella, direttore Ennio Chiodi. Ho ripreso a collaborare a Europa (prima che fosse chiusa) lavorando però soprattutto al tg: cronaca e (tanta) politica, i campi su cui mi sono esercitato. Sono diventato inviato e ho girato ancora un po’ il mondo (Irak, Ucraina e Haiti, ad esempio) e soprattutto tutta la Lombardia.
Negli ultimi cinque anni, su input del compianto Ezio Trussoni (caporedattore fino allo scorso inverno, quando ci ha purtroppo lasciato, sostituito da Ines Maggiolini) sono diventato caposervizio, seguendo soprattutto le trasmissioni del mattino: Buongiorno Italia e Buongiorno Regione (e io mitico Gazzettino Padano, in radio). Esperienza bellissima ma faticosa visto che occorre svegliarsi (come ho fatto anche questa settimana) alle 4.40.
Da domani volto pagina. Passo a Raisport. Vado a toccare un terreno che ho più volte sfiorato in questi anni, ma che rappresenta una assoluta novità. E in quanto tale sarà per me esaltante. E, spero, divertente. Sia per me, sia per voi che avete la pazienza di seguirmi.
Lascio nella vecchia redazione tanti amici e tanti ottimi colleghi.
Non so come andrà nel nuovo settore e se sarò all’altezza di una storica tradizione. So solo che mio papà sarebbe stato fiero di me.

Ad maiora