Italia

Expo2015, i padiglioni da non perdere (e alcuni evitabili)

Partiamo dalla premessa che per vedere bene Expo2015 un giorno non basta. E che quindi bisogna operare delle scelte, che come tutte le scelte sono discutibili e possono portare a errori. Ma tant’è. Qui vi propongo alcuni padiglioni da vedere e altri che si possono anche saltare, basandomi ovviamente sui miei gusti e sulle mie sensazioni.

 
L’ordine in cui presento i padiglioni è una sorta di classifica. Che andrò aggiornando con le prossime visite al sito.

PADIGLIONE GIAPPONE
Chiunque si sia informato su Expo2015 sa che questo è uno dei padiglioni che non si possono perdere. La lunga fila (90 minuti) è ripagata dalla visita (che dura una cinquantina di minuti). 
Il Padiglione è fatto così bene da avere un meraviglioso logo dedicato, disegnato con le bacchette da tavola che vanno a formare la E di Expo.

 
Le bacchette (quelle con entrambe le estremità sottili sono per i giorni di festa) rappresentano a loro volta l’obiettivo di non sprecare neanche un chicco di riso, un germoglio di soia, un pezzo di alga. I giapponesi hanno anche una parola per tutto ciò: Mottainai, un invito a non sprecare cibo che rientra al cento per cento negli obiettivi di Nutrire il pianeta.

 
Il padiglione ha come titolo “diversità armoniosa” e nelle varie sale si possono scoprire tante caratteristiche culinarie che fanno di questo paese uno dei leader nella ricerca di una cucina (e di una cultura) davvero interessante.

 
Le sale sono tutte belle. La prima mostra, con video proiettati nel buio di un campo, il Giappone rurale nelle varie stagioni, la seconda un corridoio che racconta l’ospitalità di questo paese. Il terzo la diversità delle colture agricole. In questa stanza, scaricando l’app del Padiglione (il Wi-Fi è gratuito, funzionante e veloce in tutto Expo2015, altro miracolo davvero degno di nota) si possono catturare le immagini sul telefono. Non sono certo funzioni. Io l’ho scaricata sull’Ipad ma il supporto non entrava negli spazi previsti. Inutile anche l’intervento del gentilissimo personale giapponese.   La sala che ho più apprezzato è quella legata alla Tradizione. La parte sull’educazione alimentare andrebbe copiata in tutto il mondo.  L’ultima sala è sicuramente quella più divertente. Il ristorante virtuale del futuro merita da solo la visita al Padiglione:

All’esterno troverete numerosi ristoranti. Alcuni, come avrete letto, molto cari.

PALAZZO ITALIA

Qui sono le file a farla da padrone e potrebbero scoraggiare qualcuno. Nei giorni di massimo afflusso si può aspettare anche quattro ore.   Ma, a mio parere, è tempo ben speso. Palazzo Italia risulta infatti essere, anche architettonicamente, uno dei più belli di Expo e uno che mantiene il tema della nutrizione come collante delle varie sale (anzi, dei vari piani).   Il numero chiave di questo Palazzo è il 21, numero che rappresenta le nostre ragioni con in più Roma Capitale (in via Bellerio non avranno apprezzato). E così la prima sala (assolutamente la più renziana) mostra ventuno, spesso sconosciuti, personaggi di successo che rappresentano (anche fisicamente) il Made in Italy.  C’è poi un doppio passaggio dal caos di uno sviluppo senza regole (con i danni che esso provoca) alla bellezza del nostro paese. Le sale con le meraviglie naturali e artificiali che si possono trovare nel nostro paese sono davvero bellissime. E risultano il posto preferito per i selfie (gli specchi che campeggiano in tanti stand sembrano proprio un invito in tal senso). È decisamente il posto più affascinante di questo padiglione. Molto bella anche l’idea di mettere a contrasto musica moderna con particolari delle architetture e degli affreschi di tanti patrimoni dell’umanità che si trovano nello stivale.

L’ultimo piano gioca sul doppio senso del concetto di Vivaio (che è il tema del padiglione), visto sia come la ricchezza e la varietà della natura nel nostro Paese, sia sulla scommessa per le nuove generazioni. Cui davvero Palazzo Italia si rivolge. Lo stivale con le 21 piante tipiche (e con vista sull’Albero della vita) chiude il percorso.  Anzi, prima di andarsene è possibile firmare la Carta di Milano, il documento sul diritto al cibo che rappresenterà l’eredità di Expo. La possono firmare anche i bambini e ci sono sgabelli alla loro altezza. Alla fine si esce davvero soddisfatti. Uscendo, si possono anche ascoltare i concerti degli studenti dei conservatori italiani. Altro Vivaio non indifferente.

Avrete notato che ho parlato di Palazzo e non di Padiglione, perché il Padiglione Italia è l’intera area espositiva del Cardo. Tra i tanti spazi che si affacciano sull’affollaro viale, consiglio una sosta nell’Alto Adige-Sud Tirol con una struttura tutta in legno e tanto cibo invitante.  

PADIGLIONE UNIONE EUROPEA

Forse quello che mi ha sorpreso di più. Soprattutto perché è una istituzione contro cui tutti si divertono a fare il tiro al pallino. Non che spesso non ce ne sia ragione, ma ormai sembra diventato un vizio: quando non si sa con chi prendersela, si tira in ballo l’Europa. Il padiglione (che si affaccia sull’Albero della vita e sul Padiglione Italia) non è della Commissione o del Parlamento ma proprio dell’Unione dei 28 paesi. È il lavoro di sintesi va a mostrare proprio le peculiarità dell’Unione.   Il padiglione UE gira tutto intorno alla storia di Alex e Sylvia, i due protagonisti del cartone animato La Spiga d’oro:

La visione del video è in 4D e quindi piacerà anche ai più piccoli. Il messaggio che passa è che l’unione non solo fa la forza, ma permette di avere cibo sano a disposizione di tutti.  Dopo il film sono molto belli e interessanti anche i pannelli interattivi in cui si può vedere cosa fa l’Unione europea e ci si può preparare un panino virtuale.

 Insomma, un padiglione che piacerà anche ai più piccoli.

PADIGLIONE COLOMBIA

Ecco un’altra piacevole sorpresa di Expo2015. Il Padiglione sul paese latino-americano è sicuramente quello fatto con maggiore cuore e passione. Ogni paese ha cercato di portare a Milano la migliore rappresentazione di sé. La Colombia ha cercato di mettere in mostra quello che pochi conoscono: è uno dei paesi con la maggiore biodiversità. Un paese fortunato come recita una bella scritta all’ingresso.

 
Una biodiversità che non si sviluppa in larghezza ma in altezza. Di qui la scelta di sale nelle quali vengono mostrati i diversi microclimi presenti nel Paese. E dove di può prendere un ascensore virtuale che mostra il passaggio dai 5.000 metri del picco Cristóbal Colón fino al mare. Davvero suggestivo. Ma questo padiglione, come tutti, ha all’uscita dei locali dove si possono assaggiare le prelibatezze del Paese, in questo caso colombiane. 

Essendo un caldo pomeriggio estivo abbiamo optato per le bevande. Ne abbiamo presi di tre tipi diversi: succo di Tomate de Arbol, Lulo e Aguapanela. Personalmente quest’ultimo è quello che mi è piaciuto di più, anzi, che mi ha più dissetato.  Non paghi dei succhi, abbiamo voluto provare anche il famoso Cafè de Colombia. A turno ne vengono servite due qualità, una più forte l’altra meno. E ci siamo fatti spiegare le caratteristiche di questo prodotto tipico:

Li abbiamo provati entrambi. Diversi e molto buoni. Da assaggiare per capire che il caffè non è una tradizione solo nostra.

PADIGLIONE NEPAL

Non ci sono lunghe code da fare per questo padiglione che è tutto in salita, come è giusto che sia. È stato uno degli ultimi ad aprire non per ignavia di chi lo guida ma per il terremoto che l’ha colpito.  Arrivati in cima girerete intorno a un Budda, davanti al quale ci sono ciotole piene di offerte. Di fatto nono c’è molto da vedere, ma il tutto fa pensare, fa riflettere sulla caducità della vita.  Il tutto è accompagnato da suoni e bandierine tibetane. Davvero una esperienza toccante.

Sotto il Padiglione c’è un ottimo self-Service che con solo 15 euro vi fa assaggiare tutte le specialità nepalesi. Da testare.  

LA SPESA DEL FUTURO

Se il Padiglione del Giappone mette in mostra il ristorante del futuro, la Coop mostra come sarà il supermercato prossimo venturo. 

 Su una enorme superficie, a più livelli sono in vendita tantissimi prodotti (per lo più a marchio Coop, ovviamente). La cosa davvero stupefacente è che basta indicarli per fare apparire infografiche animate nelle quali viene specificata la provenienze e le caratteristiche dei vari prodotti.

Ah, i prezzi sono davvero a buon mercato.

PADIGLIONE QATAR

Qui la coda è relativamente breve e ne vale la pena. Perché è un padiglione che ha centrato l’obiettivo del cibo.  

Molto interessante la presentazione della tavola imbandita, ma in generale tutto il percorso ti fa capire quale filosofia ci sia dietro questa cucina.   

PADIGLIONE ESTONIA

Poca coda ed elevata resa anche per questo spazio baltico che si trova appena di fianco al gigantesco padiglione russo. Qui è tutto in legno, persino l’altalena, e tutto dedicato a cibo e natura. Al piano superiore si può sedersi nel verde ascoltando il suono degli uccellini.  

PADIGLIONE ZERO

Tornando al punto di partenza, non perdete il Padiglione Zero dell’Onu. Noi l’abbiamo visitato alle 17.30 e abbiamo fatto solo dieci minuti di coda. Si viene accolto da un cantante lirico e poi si entra in un salone dove ci si immerge a vita agreste. Davvero suggestivo.  

La cosa più bella ed istruttiva rimane la parte dedicata allo spreco di cibo.

 
Non perdetevi prima di uscire di vedere il (bel) filmato sul Banco Alimentare.

PADIGLIONE IRAN

È ben fatto e con scarsa cosa anche il padiglione iraniano. Come tanti qui a Expo si concentra sul riso, principale alimento di molti paesi.

Molto bello lo spettacolo di musica e danze cui abbiamo assistito nel tardo pomeriggio:

  
PADIGLIONI CHE A MIO GIUDIZIO SI POSSONO EVITARE

In primis quello dello Turkmenistan che non solo è una mera esibizione del corpo del dittatore, ma che pure con il cibo centra poco. Al primo piano vengono messe in mostra le pipeline del gas. Surreale.  

Altro padiglione che non vale la coda è quello dell’Austria. Si passeggia in un bel bosco. Fa più fresco che altrove, ma alla fine non ti lascia niente se non la domanda: come nutriamo il pianeta? Mangiando corteccia. Carino solo lo slogan all’ingresso.

 Poca coda e poca soddisfazione anche nel grande Padiglione della Cina. La prima parte è dedicato alla Cina rurale, con belle foto. La seconda a un fuoco di luci e colori. Che senza spiegazione si perdono via come un bicchier d’acqua. Peccato. Dicono siano buoni i ristoranti, ma abitando a China Town, ho tranquillamente aggirato la cosa. È comunque uno dei padiglioni più bello fuori che dentro.  

Anche la Slovacchia si può tranquillamente saltare. Sono entrato e uscito senza che mi sia rimasto attaccato alcun ricordo.

Chiudo su Israele. Il padiglione è bello. Ma la scelta di incentrarlo tutto sul racconto di una bella conduttrice tv (Moran Aitas) me lo fa declassificare tra quelli per cui non vale la pena fare la (lunga peraltro) coda.

  
Molto bello invece il giardino verticale esterno.

  
Ad maiora

Visitare Cuba: da Trinidad a Santa Clara

Stamattina dormiamo un po’ di più. Gli unici due posti che ho trovato sul bus Viazul per Santa Clara sono infatti solo alle 3 del pomeriggio. Ci dedichiamo quindi a una visita culturale qui a Trinidad: al Museo Historico Municipal a due passi da Playa Grande (Simón Bolivar 423).

AL MUSEO MUNICIPALE

È una casa coloniale riattata a museo. Si capisce in questo modo come vivevano i ricchi a Cuba prima della rivoluzione. E un po’ di stanze sono dedicate a cimeli della lotta di liberazione, dagli spagnoli (e dagli americani) e da Batista. L’entrata costa 2 Cuc (ossia 2 dollari), di più se avete macchina fotografica. Non hanno ancora considerato che i cellulari moderni scattano foto.

IL QUOTIDIANO

Dopo aver acquistato qualche volta Granma (il giornale del partito, dove imperversano i Castro) compriamo, uscendo dal museo, Juventud Rebelde, il quotidiano dei giovani comunisti. Quando chiediamo quanto costa ci dicono “quanto vuoi” perché il prezzo è solo in pesos cubani, non in quelli convertibili.

Sulla prima pagina svetta, sotto la data, la segnalazione del fatto che sia il 57′ anno dal rivoluzione.

Mi ricorda le scritte italiane del Ventennio: XI E.F.

 Torniamo alla casa particular. Salutiamo Manuela. Paghiamo il dovuto: 25 Cuc a notte per la doppia più 3 Cuc a testa per la colazione. Due delle nostre colazioni la nostra padrona di casa ce le abbuona perché Marta, ancora non in forma, le ha praticamente saltate. Da noi le avrebbero fatte pagare tutta la vita!

Buona Suerte, Manuela (avida lettrice di Juventud Rebelde, da cui ha tratto – l’ho scoperto oggi – le notizie sul cambiamento climatico che sta colpendo anche i Caraibi).

FA CALDO…

Prendiamo una bici-taxi per andare alla stazione dei bus. Prima facciamo di nuovo un salto alla farmacia internacional per tentare una strada alternativa per risolvere i persistenti guai fisici di Marta. Il tassista ci chiede da dove veniamo e dopo averlo scoperto dice che alla Tg cubano hanno detto che in Italia c’è un’ondata di calore pazzesca. Pazzesco che ne parlino fin qui, dove comunque si schiatta. Globabilizzazione meteorologica.

Decidiamo comunque di chiamare a casa per sincerarsi che tutto sia ok.

IN BUS

Arriviamo alla stazione dei bus di Viazul un’ora prima della partenza (tempo necessario per confermare la prenotazione).

Il bus parte quasi in orario. Ma l’attesa avviene sotto la canicola perché non ci fanno salire finché non sono scoccate le 15. La seduta è molto più comoda di quella del Viazul precedente. Ma misteriosamente c’è un fastidioso odore di pipì.

Su questi bus ci sono quasi solo stranieri. Raramente cubani. Al più cubane accompagnate ad attempati italiani. Brutta roba.

Durante il viaggio, dove si dondola a destra e sinistra come in nave, becchiamo il primo acquazzone tropicale. In alcuni punti del bus la poggia entra e bagna i passeggeri. Non noi, per nostra fortuna.

 Il bus fa tappa obbligata a Cienfuegos, non lontano dalla Baia dei Porci, dove torneremo tra una settimana.

Cienfuegos, o almeno la sua periferia, sembra una città con troppi casermoni ma un sacco di murales rivoluzionari. Il centro, come avremo modo di scoprire, è uno dei meglio conservati qui a Cuba.

TASSISTI ALL’ASSALTO, ANCHE A SANTA CLARA

L’arrivo a Santa Clara è simile a quello di Trinidad e si è assediati da persone che cercano di venderti qualunque cosa. Marta dice che è anche peggio perché i tassisti tentano di strapparti di mano la valigia per portarti nelle (loro) case particular. Noi cerchiamo il nostro tassista, Adalberto, che ci aspetta con cartello recante la scritta: Andrea y Marta. La prima cosa che chiede è: Como sta la chica? Potenza delle donne delle case particular (la nostra nuova padrona di casa, contattata da quella precendente, deve aver parlato al tassista dei problemi fisici di mia figlia).

Raggiungiamo Casa Vida con una bicitaxi (solo leggendo la guida fino in fondo scoprirò che sono vietate agli stranieri).

Santa Clara, come ci spiega Adalberto – che pedala e suda all’unisono – è meno turistica e molto più grande di Trinidad.

Ci offre di accompagnarci in un giro turistico domani in bici. Paghiamo i 5 pesos del viaggio dalla stazione dei bus a Casa Vida e decliniamo l’invito per il giorno dopo.

CASA VIDA

Anche qui a Santa Clara siamo ospiti di una casa particular gestita da sole donne: mamma, figlia (tredicenne come Marta) e nonna (molto simpatica e attiva, pur in carrozzina). A mia figlia fanno trovare in camera un mazzolino di fiori.

La casa non ha patio ma è  bella. La stanza grande (pur con coperte troppo rosa per i miei gusti) e il bagno ha pure il bidè (ma non funziona). La doccia ha l’acqua abbondante, pure quella calda. Ma ormai mi sono abituato a quella fredda (qui a Cuba in realtà è tiepida) e rinuncio a quella (troppo) calda.

Dalla finestra, mente ci si lava, si vede un casco di banane in un bananeto. Non ricordo di aver mai fatto una doccia così.


La signora Wiky, la padrona di casa, propone subito a Marta di portarla da una anziana guaritrice che, toccandole un braccio, le potrebbe far passare subito il mal di pancia. Marta rifiuta, sperando nell’esito positivo della nuova medicina.

A ZONZO PER SANTA CLARA

Chiacchieriamo un po’ con Wiky e con sua figlia Reinavida (nata – il fatto emerge alla consegna dei passaporti per la registrazione – sei giorni prima di Marta) e poi usciamo.

A Santa Clara ci sono davvero pochi turisti. O meglio  – come scopriremo domani – ci sono, ma vengono tutti in pullman per visitare il Mausoleo del Che e poi tornare nei villaggi turistici. Il tutto, almeno di sera quando si passeggia nelle strade semi-deserte ha un enorme vantaggio: quasi nessuno ti assilla per offrirti alcunché.

La nostra casa è appena fuori dal centro, vicino a uno dei monumenti del Che (la cui iconografia riempie ogni angolo di questa città da 200mila abitanti). Siamo a est del Parco Vidal che rappresenta il centro cittadino. E allora proseguiamo su questa direttrice. Incontriamo un “Boulevard” chiuso al traffico.


Ci sono dei negozi semivuoti e un grande supermercato, dove ci ripromettiamo di tornare domani (qui tutto chiude verso le 17, 18 al massimo e siamo già oltre questo orario). In giro solo cubani, per lo più rinchiusi nelle (numerose) gelaterie.

Santa Clara si trova nell’interno di Cuba, un po’ in montagna e quindi la temperatura esterna è più gradevole che nel resto dell’isola.

CENA LUSSUOSA, MA DISASTROSA

Troviamo un solo ristorante che ci sembra interessante, pur intimoriti dal fatto che sia  indicato come di lusso, forse perché è inserito in una bella casa colonica.

Dentro comode seggiole rosse e un set di  bicchieri, piatti e posate davvero degno di nota.

È pieno di gente del posto (che a fine cena mette gli avanzi, compreso il brodo, direttamente in una busta di plastica!) e i prezzi sono adeguati ai loro standard: spenderemo alla fine solo 5 Cuc (ossia 5 dollari) in due.

Peccato solo che il cibo sia davvero proprio scadente. Si salva solo il riso in bianco… La zuppa di formaggio di Marta ha al centro un blocco di “parmesan”. Lo stesso che copre, come un orrendo guscio, la montagna di pastasciutta napoletana che scelgo io (unico piatto vegetariano del menù). Ne assaggio 3 forchettate e lo lascio lì.

Da noi così cattivo nemmeno nelle peggiori mense scolastiche.

 Torniamo verso l’Hostal Vida.

In cielo, per la prima volta da quando siamo a Cuba, ammiriamo le stelle.

Ad maiora

 

Padre Pio

L’Italia è la terra di Padre Pio. È il luogo dove l’immagine del santo di Pietrelcina tende ormai a rimpiazzare le immagini di Gesù e della Madonna, oltre che sulle pareti delle botteghe o sui paraurti delle auto, sulle tombe dei campisanti. Ed è il luogo dove un’intera classe politica, senza eccezioni, fa mostra di venerare il frate cappuccino con uno slancio bipartisan. A dire il veto, nessun politico del Belpaese ancora ha proposto di rimpiazzare con una statuetta di padre Pio anche il crocifisso sul muro delle aule scolastiche e delle aule di giustizia. Ma è soltanto, forse, una questione di tempo.

Sergio Luzzatto, Il crocifisso di Stato, Einaudi, 2011

Tg polacchi e italiani: somiglianze e differenze

Come si sono organizzati i tg polacchi dopo la caduta del Muro di Berlino e della dittatura sovietica? E’ il tema al centro dell’attenzione di vin discussione alla Statale di Milano.

La studentessa analizza la storia dell’informazione televisiva polacca per arrivare ai giorni nostri. Anche in Polonia c’è un sistema misto pubblico-privato per quanto riguarda le emittenti tv e anche in questo paese europeo i programmi di informazione sono ormai abbastanza standardizzati. Da un sistema super centralizzato si è passati ad uno policentrico.

Le principali differenze con i tg italiani, oltre che le edizioni sono minori, consistono nell’assenza di meteo e di sport. La più grande somiglianza è che anche i tg polacchi sono invasi di politica. E, come i nostri, solo di politica nazionale. Difficile costruire un’identità europea se ognuno si interessa solo al proprio orticello.

Ad maiora

La mafia russa alla conquista del mondo

Domenica 9 novembre alle 16.30 Annaviva ha organizzato la presentazione del libro “Mafija” di Pino Scaccia ad Archè Onlus Via Jean Juares 7/9 a Milano, nell’ambito del Festival dei beni confiscati alle mafie. Qui la mia recensione del volume (che presenterò insieme all’autore, a David Gentili e Luca Bertoni). Vi aspetto, aspettiamo.

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In “Mafija, dalla Russia con furore” Pino Scaccia non parla solo della mafia russa. Spiega il contesto in cui è nata, quel deserto – anche di valori – che ha fatto seguito al crollo dell’Unione sovietica. È un libro interessante e sconsolante quello scritto dallo storico inviato del Tg1. Nel quale si racconta l’espansione planetaria dei boss russi, che ovviamente si sono alleati con la mafia italiana più globalizzata, la ‘ndrangheta. Un pentito, Saverio Morabito, qualche tempo fa spiegava così ai magistrati: “La ‘ndrangheta non ha problemi a fare affari con gente di ogni razza è nazione”. E’ così se si conquistano tutti i mercati. Peraltro le due mafie – quella russa e quella calabrese – si somigliano anche per quanto riguarda la struttura, non avendo una vera e propria cupola a guidarle, come invece quella siciliana.

Così Scaccia spiega l’allungamento dei tentacoli sui nostri territori: “In Europa sono presenti in Italia, Spagna, Paesi Bassi, Lituania, Estonia, Lettonia, Gran Bretagna, Germania, Austria, Svizzera, Francia e Israele. Le attività criminali riguardano i precursori dell’eroina, droghe sintetiche, traffico d’armi, traffico di esseri umani, prostituzione, estorsione, riciclaggio di denaro. La mafia russa sbarca in Italia negli anni Novanta, in Emilia-Romagna. L’organizzazione si allarga presto in Toscana e Veneto. E successivamente a Napoli, Roma e Milano. La mafia russa è attualmente rappresentata in Italia dai gruppi Solntsevskya bratva, Izmajlovskaja, dai Lupi di Tambov e dai clan Kutaisi. Si è a conoscenza anche di riunioni (skhodka) che si svolgono in Italia per il coordinamento delle operazioni sul territorio; le indagini ne hanno accertata una il primo dicembre 2011 a Milano è una in programma il 18 settembre 2012 a Roma mai avvenuta per un rischio di intercettazione da parte delle forze dell’ordine”.

Insomma, come sempre è qualcosa che ci riguarda da vicino. Senza dimenticare un aggressivo Putin che a una domanda sulla mafia russa ricordava come la parola fosse di origine italiana. Vero: abbiamo sempre da imparare.

Come ci toccano da vicino i rapporti “politici” tra il nostro paese e la Russia, che Scaccia tratta nell’ultima parte del libro. Dove si affronta il tema della (praticamente inesistente) libertà di stampa nel paese di Putin. Un capitolo del libro è dedicato alla Politkovskaja fatta assassinare (chissà da chi) da killer di un’altra mafia, quella cecena.

Scaccia, che ha una grandissima esperienza internazionale, si occupa anche del caso Alma Shalabayeva, espulsa a tempo di record e rimpatriata da Roma in Kazakistan. Una storia davvero imbarazzante che coinvolge l’attuale governo e la maggioranza che lo sostiene.

Ad maiora

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Pino Scaccia

Mafija, dalla Russia con furore

Round Robin

Roma, 2014

Pagg. 180

Euro 14