Haiti

Murales rivoluzionario a L'Avana, Cuba

Visitare Cuba: Centro Habana

Secondo giorno di viaggio qui a Cuba. Il primo dedicato alla visita della sua capitale.

Mi sveglio alle 5 del mattino (le 10 in Italia) perché il mio corpo non si è ancora adattato al nuovo fuso orario. Marta invece ronfa di gusto. Buon per lei. 

La colazione da Lazaro è buona. Perché, come mi ricordavo da Haiti, il sapore della frutta che si trova qui non è rinvenibile altrove. Ottimo anche il caffè cubano.


Rinfrancati dal cibo ci lanciamo alla visita del centro de L’Avana, dove ci troviamo. Avevamo letto nel guest-post di Fraintesa come sarebbe stato l’approccio di tanti cubani alla vista di due stranieri che passeggiano per strada. I cosiddetti jineteros ci hanno offerto taxi-sigari-alcol-ristoranti ogni minuto e mezzo e chiesto soldi ogni cinque. Ce la siamo cavata con qualche peso convertibile (Cuc).

La città è di una bellezza decadente. Il traffico è però micidiale e la puzza di benzina di scarsa qualità ti accompagna ovunque. Le vie laterali (quelle che dal mare vengono verso il centro) sono meno trafficate. E quindi migliori da percorrere a piedi (sempre evitando, a fatica, l’offerta dei taxi).


Il caldo è opprimente. Troviamo refrigerio in un bar e soprattutto un po’ di tranquillità nella chiesa (neogotica) del Sagrado Corazon de Jesus.


Ci sono palazzi maestosi, anche se molti sono chiusi per ristrutturazione, come il Capitolio Nacional. Nessuno sa dire quando verrà riaperto questo edificio (più alto di quello di Washington cui si ispira). Questa, a quanto dicono gli habaneros con cui abbiamo parlato, sembra dovrà diventare la sede del parlamento cubano.


A pranzo mangiamo una discreta pizza, pietanza che si trova praticamente ovunque in giro per L’Avana (“La pissa, la pissa” si sente spesso gridare per strada dai venditori porta a porta). Due pizze e due bottiglie d’acqua 8 Cuc.
Costano un poco di più i vestiti che ho dovuto comprare per sopravvivere in attesa dell’arrivo della valigia che ieri non mi hanno consegnato al mio arrivo a L’Avana. Da Air France fanno sapere che è rimasta a Parigi.

CHINA TOWN SENZA CINESI
Sempre in Centro Habana visitiamo anche il quartiere cinese (Barrio Chino), uno dei più grandi delle Americhe, con una caratteristica: i cinesi se ne sono andati (in Canada e Usa) dopo la vittoria della rivoluzione socialista. Gliene era evidentemente bastata una…


A proposito di rivoluzione guevarista, in giro si trovano dei murales davvero bellissimi. A parte quelle ufficiali comunque, difficilmente ci sono altre scritte, o tag.


Aspettiamo invano un amico cubano di Marta e poi decidiamo di uscire per fare la spesa. Domani ci aspetta un lungo viaggio in bus, destinazione: Trinidad. A L’Avana, o almeno nel suo centro, non ci sono “supermercati” come li intendiamo noi, ma tanti piccoli negozi (tiendas) che vendono alcuni prodotti. Preparatevi a lunghe code, spesso infruttifere. Spesso quando entrate (siete stranieri, immediatamente riconoscibili) c’è qualcuno che vi cerca di aiutare a ordinare e poi immancabilmente vi dice che ha il bambino che sta male e ha bisogno di soldi. Anche comprare l’acqua comporta quindi un esborso doppio. La frutta (salvo le mele, ma ne parleremo tra poco) costa davvero poco: è però molto matura e quindi va mangiata praticamente subito


Sulla Lonely planet indicano un negozio dove si può trovare di tutto, ma non troviamo il posto! Nel frattempo, camminando sotto il sole, siamo passati da Centro Habana a Habana Vieja. Se nella prima ci sono case diroccate e tanti cubani, qui le case sono tutte in ordine e incrociamo turisti a frotte. Malgrado questi segnali di allarme, incappiamo nella prima fregatura cubana: compiamo cinque mele che ci vengono fatte pagare 5 pesos convertibili. Cinque euro al chilo, praticamente. Manco in Montenapoleone! Va beh, ci consoliamo pensando che quello dovrebbe essere il costo del pranzo di domani (insieme a qualche snack).


A cena seguiamo pedissequamente la Lonely e andiamo da Hanoi ristorante di cucina cubana nella Habana Veja. Troviamo quattro inglesi tutti muniti, come noi, della stessa guida inglese (praticamente ne conteremo decine di copie al giorno, stessa foto in copertina, qualcuna col titolo Kuba, alla tedesca). Mangiamo bene, ascoltando musica cubana.

I prezzi sono onesti (12.50 Cuc, più mancia per camerieri e musicisti) e nel menù c’è una parte vegetariana. Miracolo!  Marta entusiasta della salsa ai pomodori che accompagnava i gamberetti.


Usciamo dal locale (che di Vietnam ha solo il nome) e andiamo a fare due passi in Plaza Veja (visiteremo con calma il resto della città vecchia al nostro ritorno, tra una settimana). È un posto davvero magico… Ma sembra di stare in Spagna! Tutto è perfetto, assolutamente in dissonanza col resto dell’Avana.


Forse anche per questa ragione, la maggioranza di quanti passeggiano qui sono turisti stranieri. Torniamo subito nel “nostro” quartiere (Centro Habana). Lo si riconosce dalle strade dissestata e dalla gente che cammina senza la guida turistica in mano (semmai con della frutta).


Si vedono anche ragazzini che giocano a pallone per strada (scena da noi scomparsa negli anni ’70) e altri che giocano a basket, in mezzo al traffico (scena da noi mai vista, ma negli States sì).


Andiamo a dormire abbastanza presto ma veniamo svegliati (il plurale qui è maiestatis) da Lazaro che ci invita ad alzarsi perché dall’aeroporto hanno riportato la valigia. Miracolo. Firmo al buio un foglietto che mi pone il tassista e riporto il mio bagaglio disperso in camera. Non lo apro nemmeno e mi rimetto a dormire. Soddisfatto. Domani affronterò il viaggio coi miei vestiti.

Ad maiora.

Volto pagina

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Sono entrato per la prima volta in contatto con la Rai, anzi con la Tgr, Testata giornalistica regionale nel lontano 1991. Caporedattore centrale della redazione lombarda era Arturo Viola (che perse il posto per le difficoltà di copertura della strage di via Palestro; da allora vennero introdotti i mezzi di emergenza, presenti 24 ore al giorno). Il mio capo diretto era però Gilberto Squizzato, caporedattore degli Speciali (il mio mentore, quasi tutto quel che so di tv me lo ha spiegato lui, il resto l’ho imparato sul campo, grazie soprattutto agli operatori Rai). Contattò il mio ‘capo’ al Corriere, il mitico Raffaele Fiengo, chiedendo alcuni nomi di giovani collaboratori. Tra loro c’ero anche io che non solo collaboravo da qualche tempo con una tv (Lombardia 7), ma avevo già avuto anche esperienze internazionali (guerre in Slovenia e Croazia, rivolta dei minatori in Romania) grazie alla lungimiranza di quello che allora era il mio editore e che ora guida (all’opposizione) la pattuglia di Forza Italia al Senato, Paolo Romani.
In Rai arrivai sull’onda del cosiddetto Piano Milano (sorta di Piano Marshall in sedicesimi) che portò assunzioni, nomine ed edizioni di Tg nazionali (è rimasto solo il Tg3 delle 12).
Io finii (da collaboratore) nella redazione di Europa, trasmissione di Esteri che inizialmente andava in onda la sera su Rai1. Ho girato così ogni angolo del Vecchio Continente, accumulando servizi ed esperienze. Dal 1994 uno stop di tre anni: la direzione di testata non mi voleva più. Sono comparso in decine di comunicati sindacali (dell’Usigrai) prima di tornare in redazione nel 1997. Caporedattore era Antonio Di Bella, direttore Ennio Chiodi. Ho ripreso a collaborare a Europa (prima che fosse chiusa) lavorando però soprattutto al tg: cronaca e (tanta) politica, i campi su cui mi sono esercitato. Sono diventato inviato e ho girato ancora un po’ il mondo (Irak, Ucraina e Haiti, ad esempio) e soprattutto tutta la Lombardia.
Negli ultimi cinque anni, su input del compianto Ezio Trussoni (caporedattore fino allo scorso inverno, quando ci ha purtroppo lasciato, sostituito da Ines Maggiolini) sono diventato caposervizio, seguendo soprattutto le trasmissioni del mattino: Buongiorno Italia e Buongiorno Regione (e io mitico Gazzettino Padano, in radio). Esperienza bellissima ma faticosa visto che occorre svegliarsi (come ho fatto anche questa settimana) alle 4.40.
Da domani volto pagina. Passo a Raisport. Vado a toccare un terreno che ho più volte sfiorato in questi anni, ma che rappresenta una assoluta novità. E in quanto tale sarà per me esaltante. E, spero, divertente. Sia per me, sia per voi che avete la pazienza di seguirmi.
Lascio nella vecchia redazione tanti amici e tanti ottimi colleghi.
Non so come andrà nel nuovo settore e se sarò all’altezza di una storica tradizione. So solo che mio papà sarebbe stato fiero di me.

Ad maiora

#Avsi ad #Haiti Artigiani per la vita

avsi-haiti-45591Su Haiti, dove sono stato nel post-terremoto ho scritto più di un articolo e realizzato uno speciale per Tv7: http://www.avsi.org/2012/03/02/avsi-in-haiti-tv7-a-cura-di-andrea-riscassi-e-paolo-carpi/

Ora le cose, tra mille dififcoltà, anche sull’isola caraibica procedono.

Voi sentite sempre parlare di alcuni che lavorano lì. Io non dimentico Avsi che ora ha lanciato una nuova racolta fondi:

http://www.avsi.org/2012/03/02/avsi-in-haiti-tv7-a-cura-di-andrea-riscassi-e-paolo-carpi/

Nel video compare Fiammetta Cappellini, cui voglio un gran bene e cui ho dedicato più di un post:

https://andreariscassi.wordpress.com/2011/10/15/un-voto-per-fiammetta-cappellini-e-per-haiti/

Ad maiora

#Falacosagiusta Oggi alle 9 su Rai1 Suor Marcella da Haiti

Questa mattina in onda il servizio che ho realizzato sulla suora francescana missionaria ad Haiti.

Qui il comunicato della trasmissione.

Ad maiora

……………….

A 2 anni dal terremoto Haiti , tra i paesi più poveri del mondo , è
ancora in ginocchio, dice suor Marcella Catozza missionaria che vive
nell’isola. L’emergenza è finita –  circa trecentomila le vittime – ma
intanto nell’isola   un bambino su tre muore prima dei 5 anni, uno su
due non va a scuola e la disoccupazione è al 70%. A Waf Jeremie ,
quartiere della capitale  Port Au Prince , è stato ucciso il capo
progettista delle case che devono prendere il posto delle baracche .
Fino al 20 ottobre la Fondazione Francesca Rava lancia l’appello “Un
respiro per Haiti”, per l’Ospedale pediatrico gratuito  Saint Damien,
due anni fa centro dei soccorsi internazionali e oggi punto di
riferimento per tutto il Paese, in emergenza per la necessità di
assicurare ossigeno alle migliaia di piccoli pazienti gravi  che hanno
bisogno di respirazione assistita.

A Tg1/Fa’ la cosa giusta a cura di Giovanna Rossiello  Chiara Del
Miglio  della Fondazione Rava da poco rientrata da Haiti e   Marco De
Ponte  Presidente di AGIRE , l’Agenzia italiana risposta alle
emergenze .

www.suormarcella.org
www.agire.it
http://tg1falacosagiusta.blog.rai.it/

Suor Marcella da #Haiti

Quando, io e Paolo Carpi, conoscemmo suor Marcella eravamo molto stanchi.
Era il primo pomeriggio ma avevamo accumulato un tal numero di sensazioni, emozioni e notizie che eravamo arrivati da lei appesantiti.
Fiammetta Cappellini, angelo di Avsi a Port-au-Prince, ci aveva detto che ne valeva la pena. E Fiammetta non parla mai a vanvera.
Suor Marcella opera in un quartiere particolare della capitale di Haiti: Waf Jeremie è un agglomerato di trecentomila persone su una strada senza uscite. La via porta al mare e muore lì
La polizia difficilmente entra e se entra spara.
Appena suor Marcella salì in macchina e iniziò a parlare, Paolo (non il più clericale dei miei amati colleghi operatori) accese immediatamente la camera. Lei raccontò di come stava facendo risorgere questo quartiere, costruendo case al posto delle baracche. Lì ha costruito anche una scuola e un poliambulatorio.
Ora la scuola è in fase di ampliamento e anche la struttura sanitaria avrà tra poco una specializzazione neonatale. Il progetto delle case (ne servono a migliaia) è stato invece fermato con l’omicidio di chi lo stava curando.
Suor Marcella non si è arresa e anche se molte ong hanno ormai abbandonato Haiti lei prova ancora a lavorare per non far morire Waf Jeremie.
Da qualche giorno è in Italia a cercare fondi. Oggi a Villa Patrizia di Magnago.
Chi voglia seguirla (e aiutarla) può farlo tramite questo blog:
http://www.vilajitalyen.org/
Ad maiora

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