Yanukovich

Kiev, ieri e oggi

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Sono tornato a Kiev. E l’ho trovata parecchio cambiata.

La guerra (ora congelata dagli accordi di Minsk) dista centinaia di chilometri dalla capitale ucraina. Dove però si sente l’aria di retrovia. Mi ha ricordato Zagabria mentre i serbi conquistavano Vukovar (dove però c’erano allarmi aerei continui). Anche qui come lì, la sera scatta una sorta di coprifuoco e pochi escono di casa.

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In Majdan non ci sono più i manifestanti. Ma, approfittando di una prolungata estate, una mostra fotografica ricorda EuroMaidan.

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È soprattutto rimangono fiori e lumini nei luoghi dove ci sono stati i caduti. E sulla salita (ora chiusa al traffico) c’è una sequenza impressionante di foto di quanti hanno perso la vita per vedere l’Ucraina in Europa:

La cosa che più fa percepire l’aria di guerra (e che non avevo mai trovato nei miei precedenti viaggi, pre, durante e dopo la rivoluzione arancione) è che ci sono bandiere nazionali ovunque e che è tutto colorato di giallo e azzurro.

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Anche allo stadio, più che le sciarpe della squadra del cuore, i tifosi sventolavano la bandiera nazionale.

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Segno che l’offensiva putiniana a est ha compattato un senso di ucrainità, prima meno evidente. A proposito di Putin, da segnalare che in tutti i mercatini (in quelli sotterranei ma non solo) i principali gadget in vendita sono contro il presidentissimo russo. Dai tappetini su cui pulirsi i piedi alla carta igienica.

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Da segnalare che negli stessi mercatini sono quasi scomparsi i souvenir sovietici, segno anche questo di un volersi ulteriormente affermare dal passato di unità coi russi. Anche solo a suon di cover per IPhone.

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Lo spirito (post)sovietico lo si ritrova ancora in qualche angolo, come il noleggiatore di auto che ironizza su Majdan.

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O nel ristorante dove per entrare si cammina sui volti di Putin e Yanukovich.

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Qualche segno del passato lo si può notare agli angoli delle strade dove le babushke sono ancora lì a vendere i loro fiori.

Fino a quando resisteranno?
Ad maiora

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La Russia si rinforza in Caucaso (sempre caldo)

I russi rinforzano la loro base militare di Gumri in Armenia. Un presidio militare presente dal 1995, dotato di missili S-300 e con 3500 soldati. L’accordo russo-armeno prevedeva uno smantellamento nel 2015. Da ieri (grazie a un protocollo siglato a Erevan) è stato prorogato fino al 2044.

Una mossa simile a quella operata da Mosca con l’Ucraina (di Yanukovich) per la flotta in Crimea. Lì la permanenza era garantita fino al 2017, ora è stata allungata fino al 2042. Un accordo che l’opposizione filo-occidentale alla Rada non aveva apprezzato.

In Armenia nessuno ha protestato. L’iniziativa moscovita si integra con il posizionamento dei missili in Abkhazia e segna un ulteriore tassello messo dai russi nello scacchiere caucasico. Ormai sempre più sotto il controllo moscovita.

La zona è comunque in ebollizione.

Venerdì notte le forze di sicurezza russe hanno ucciso (“liquidato”, scrivono i siti russi), in Daghestan, un leader ribelle sospettato di aver organizzato il doppio attentato del 29 marzo contro la metropolitana di Mosca, in cui morirono 40 persone. Magomedali Vagabov è stato ucciso assieme ad altri quattro combattenti ,nel corso di uno scontro a fuoco con gli agenti russi.

Ieri a Groznij, capitale della Cecenia, un militante islamico Khamzat Shemilev si sarebbe fatto esplodere dopo essere stato circondato dalle forze speciali. Tra gli agenti, un morto e 15 feriti. Shemilev era sulla lista dei ricercati più pericolosi.

Qualche giorno fa una bomba era esplosa di fronte a un bar di Piatigorsk, nel Caucaso del Nord. 22 i feriti di cui sette gravi. Sul luogo dell’attentato è arrivato anche il presidente Medvedev, promettendo che saranno catturati i terroristi.

Speriamo che si ricordi di far arrestare anche l’assassino della Estemirova, attivista dei diritti umani, ammazzata sempre nel Caucaso: nell’anniversario dell’omicidio, a luglio, aveva assicurato che era stato individuato.

Omicidio Gongadze: sapremo mai la verità?

In una conferenza stampa organizzata a Kiev il procuratore generale ucraino Oleksandr Medvedko ha ribadito che c’è un solo sospetto nell’omicidio del giornalista Georgij Gongadze.

Georgij, giornalista d’opposizione, 31 anni, autore di decine di inchieste scomode per il regime di Kuchma, fu rapito e decapitato il 16 settembre del 2000. Il suo corpo fu trovato a novembre, in una foresta non distante dalla capitale ucraina. La madre non ha mai consentito la sepoltura in assenza della testa del figlio, chiedendo di riaprire le indagini sulla sua fine. L’omicidio (per il quale furono sicuramente coinvolti i servizi segreti ucraini) diede il la a oceaniche manifestazioni di protesta che anticiparono la rivoluzione arancione (ora in soffitta).

Per la giustizia ucraina, o meglio per questo nuovo filone d’indagine, l’omicidio del giornalista fu opera solo di Oleksij Pukach, ex capo della divisione principale indagine penale presso il Ministero del sorveglianza unità straniere. Pukach, a lungo latitante, è in cella dallo scorso anno. La procura conta di chiudere le indagini su questo filone entro agosto. Nel 2008, sempre per lo stesso omicidio erano stati condannati a pene tra i 12 e i 13 anni di carcere tre ex agenti del servizio di sicurezza ucraino.

Lesia, la madre di Georgij, qualche giorno fa ha incontrato il presidente ucraino Yanukovich cui ha ribadito la richiesta di rimuovere la statua in onore del figlio eretta a Kiev dall’allora presidente Yushenko. È convinta che il corpo trovato nel 2000 non sia quello del figlio.

Come per il caso Politkovskaja, nessuno ha mai cercato i mandanti dell’omicidio.

Romano Prodi alla Bicocca

L’Europa di Prodi

Qualche nota a margine alla lectio magistralis di Romano Prodi nell’aula magna dell’Università Bicocca. La difesa a spada tratta fatta dell’Unione europea dall’ex presidente della Commissione ci convince. Occorre una voce sola e non 27 nanetti che vanno ognuno per i fatti suoi.
Parole sottoscrivibili. L’Europa, dice il Professore (carico e dimagrito), deve tornare ad essere un laboratorio politico per non trasformarsi in un museo. Giusto.
L’ex presidente pero’ nel finale del suo intervento finisce per spiegare perché questa Europa poi non piaccia. Interrogato da uno studente su una futura adesione della Russia all’Unione, Prodi risponde che al momento non e’ ipotizzabile. Poi, non richiesto, aggiunge che nemmeno per l’Ucraina e’ immaginabile una futura adesione. Qui pero’ casca l’asino.
La Russia non vuole entrare nell’Unione. L’Ucraina sì. Ragionevolmente anche dopo il voto pro Yanukovich. Quindi non si capisce cosa c’entri il paragone.
Prodi parla dell’Europa come sogno che rischia di finire nel cassetto. Non solo a Kiev