Repubblica

A colpi di espugna

Stimati Colleghi dell’Ufficio Centrale e in particolare ignoti titolisti della prima pagina, accogliete queste righe non come un’umile preghiera (non esageriamo) ma una sommessa richiesta: riuscireste a fare a meno del verbo espugnare? È ricomparso lunedì, per la Fiorentina a San Siro. Poteva vincere a, passare a. No, espugna. Si dà il caso che da parecchi anni, allo sport, molti abbiano deciso di evitare ogni metafora bellica. Niente fucilate, raffiche, cannonate o cannonieri, missili terra-aria o terra-terra, cecchini, obici, spingardate. Un obiettivo non è mai nel mirino. Niente campi violati. Mi piace il basket ma detesto le bombe da 3. Mi piace la radio ma non l’abitudine di molti radiocronisti: “L’arbitro dà inizio alle ostilità”. Quali ostilità? È una partita di calcio e gli altri sono avversari, non nemici. Non si parla di ostilità prima dei 200 dorso, o di una partita di tennis. È anche così che si rinforza la sottocultura calcistica. Un colpo di spugna a espugna sarebbe un piccolo gesto in direzione contraria.
(Un grandissimo) Gianni Mura su Repubblica di oggi, 4 ottobre 2015

Ad maiora 

Eserciti di carta. La vittima è l’informazione

Ecco un libro che ho inserito nell’elenco degli spunti che consiglio agli studenti che vogliano fare la tesi su tematiche televisive. Questo Eserciti di carta, come si fa informazione in Italia di Ferdinando Giugliano e John Lloyd (Feltrinelli) è un volume che analizza il ventennio berlusconiano ma visto principalmente sul fronte televisivo. Che è stato decisivo, come sapete.

Il volume analizza i rapporti tra il magnate di Sky e quello di Mediaset, con un interessante confronto: «Un’analogia fra Murdoch e Berlusconi è che tutti e due si sono, almeno inizialmente, messi contro l’establishment dei loro rispettivi paesi. Entrambi amano dunque dipingersi come degli outsider, degli iconoclasti, come delle forze destabilizzanti che cercano di rimuovere quel marcio che ha costretto i cittadini in un vicolo cieco fatto di inefficienze, letargo e ideologie obsolete. Tra i miti a cui né Berlusconi né Murdoch credono c’è quello della divisione dei poteri, uno dei capisaldi delle democrazie occidentali. A questo mito viene contrapposta una visione molto meno complessa della realtà, quella presente nelle televisioni e nei tabloid, dove qualsiasi questione può essere risolta immediatamente. (…) Per quanto profonde siano le somiglianze fra Murdoch e Berlusconi, va sottolineato che il magnate australiano non ha mai provato a scendere in politica in prima persona. E nonostante egli abbia influenzato per molti anni le scelte dei politici inglesi, il suo potere è oggi fortemente ridimensionato. (…) Più in generale, è legittimo sostenere che nessun leader di un paese democratico in Europa, Nord America, Giappone o Australia ha potuto beneficiare di una concentrazione di potere mediatico e politico simile a quella di cui ha potuto godere Silvio Berlusconi».

Il volume di Giugliano e Lloyd sottolinea come la negatività della figura di Berlusconi sia stato anche quello di aver costretto i giornalisti a schierarsi: o con lui o contro di lui. Con inevitabili (ed evidenti) conseguenze negative per la professione: «Il bipolarismo giornalistico è stato la logica conseguenza per un paese la cui storia politica è diventata, fondamentalmente, la storia di Berlusconi, narrata in decine di migliaia di ore di televisione che lo dipingono in maniera perlopiù positiva; in migliaia di articoli di giornale che me offrono un giudizio misto, a seconda di chi sia il proprietario della testata; e in centinaia di libri e saggi che sono per lo più critici nei confronti del Cavaliere. Nel corso del ventennio berlusconiano, le divisioni nel mondo del giornalismo si sono accentuate, con la destra prima, e la sinistra poi, che hanno preso posizioni intransigenti e iper aggressive l’una nei confronti dell’altra».

Gli autori descrivono dettagliatamente anche il ruolo di supplenza esercitato da Repubblica negli anni in cui la sinistra politica non è stata in grado di contrastare seriamente Berlusconi. Un ruolo più “politico” che giornalistico.

Sulla sponda opposta si è avuto Il Giornale di Feltri e il metodo Boffo. Ma anche e soprattutto, seppure con metodologie diverse, il settimanale berlusconiano Chi che si occupa di politica e lo fa «confondendo politica, costume e pettegolezzo, influenzando il lettore in maniera più subliminale e, pertanto, più efficace». Viene ricordata anche la puntata di Kalispera dedicata all‘intervista di Signorini a Ruby : «A essere premiata non è più la capacità di costruire inchieste attente alla verità e ai dettagli, ma quella di presentare in maniera verosimile storie anche false ma comunque utili nell’ambito dello scontro politico». Il finto ex fidanzato. E non solo.

C’è poi la vicenda del Tg1 a guida Minzolini (ora, giustamente, senatore berlusconiano) con i dati relativi allo squilibrio nei confronti di governo e maggioranza (che fu, fino alla secessione finiana, “bulgara”). E malgrado le difficoltà in atto, i due autori concludono sostenendo che il futuro del giornalismo italiano potrà passare dalla Rai. Speriamo che qualcuno a Palazzo Chigi se ne accorga.

Ad maiora

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Ferdinando Giugliano e John Lloyd

Eserciti di carta, come si fa informazione in Italia

Feltrinelli

Milano, 2013

Euro 18

Orologi

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Nell’inserto odierno “Tutto Milano” di Repubblica ci sono pagine pubblicitarie curate dalla Manzoni pubblicità.
Uno dei redazionali parla dei (tantissimi) orologi pubblici che compaiono in ogni angolo di Milano.
Ma la foto che accompagna la pubblicità è quella della stazione di Bologna. All’ora della strage: 10.25 del 2 agosto 1980.
85 morti e 200 feriti.
Difficile, almeno per me, dimenticare quella foto. Di Bologna.
Ad maiora

Un doppio livello, nella storia della Repubblica

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“Doppio livello” è un libro di Chiarelettere da leggere dopo quello di Bisignani, giusto per capire – davvero – cosa sia successo in questi anni.
Il volume di Stefania Limiti (lungo 480 pagine, non poche) analizza l’influenza dei servizi segreti “deviati” e dell’intelligence americana nei tanti misteri che stanno dietro la storia della Repubblica da piazza Fontana fino agli attentati mortali a Falcone e Borsellino.
Si analizza il secondo livello occulto (spesso di matrice fascista o anti-comunista) che ha accompagnato le vicende più oscure della Prima Repubblica (con alcuni personaggi che traghettano anche nella seconda). Il tutto per destabilizzare la democrazia, per accusare la sinistra di attentati di destra, per imporre un regime.
Se nel libro/intervista di Bisignani Andreotti sembra un eroe qui appare invece come colui che ha gestito molte delle trame, non solo siciliane.
Nel volume vengono raccontate anche le azioni di gruppi terroristi (o singoli attentatori) misteriosamente nati e scomparsi (lasciando dietro morti e feriti): dalla Falange Armata a Una Bomber.
C’è anche una rilettura della storia del terrorismo rosso e nero, che a volte si rifornivano, per armi, targhe false, esplosivi etc, allo stesso “centro servizi”.
In tutto questo le indagini della magistratura sono state spesso ostacolate da chi in realtà lavorava per i servizi segreti o per gruppi massonici.
Un giorno, quando verrà tolto il segreto di stato su tanti documenti (sempre che non vengano prima distrutti), potremo forse riscrivere la storia dell’Italia repubblicana.
Ad maiora
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Doppio livello, come si organizza la destabilizzazione in Italia
Stefania Limiti
Chiarelettere, Milano 2013
Pagg. 480
Euro: 18,60