Ruby

Eserciti di carta. La vittima è l’informazione

Ecco un libro che ho inserito nell’elenco degli spunti che consiglio agli studenti che vogliano fare la tesi su tematiche televisive. Questo Eserciti di carta, come si fa informazione in Italia di Ferdinando Giugliano e John Lloyd (Feltrinelli) è un volume che analizza il ventennio berlusconiano ma visto principalmente sul fronte televisivo. Che è stato decisivo, come sapete.

Il volume analizza i rapporti tra il magnate di Sky e quello di Mediaset, con un interessante confronto: «Un’analogia fra Murdoch e Berlusconi è che tutti e due si sono, almeno inizialmente, messi contro l’establishment dei loro rispettivi paesi. Entrambi amano dunque dipingersi come degli outsider, degli iconoclasti, come delle forze destabilizzanti che cercano di rimuovere quel marcio che ha costretto i cittadini in un vicolo cieco fatto di inefficienze, letargo e ideologie obsolete. Tra i miti a cui né Berlusconi né Murdoch credono c’è quello della divisione dei poteri, uno dei capisaldi delle democrazie occidentali. A questo mito viene contrapposta una visione molto meno complessa della realtà, quella presente nelle televisioni e nei tabloid, dove qualsiasi questione può essere risolta immediatamente. (…) Per quanto profonde siano le somiglianze fra Murdoch e Berlusconi, va sottolineato che il magnate australiano non ha mai provato a scendere in politica in prima persona. E nonostante egli abbia influenzato per molti anni le scelte dei politici inglesi, il suo potere è oggi fortemente ridimensionato. (…) Più in generale, è legittimo sostenere che nessun leader di un paese democratico in Europa, Nord America, Giappone o Australia ha potuto beneficiare di una concentrazione di potere mediatico e politico simile a quella di cui ha potuto godere Silvio Berlusconi».

Il volume di Giugliano e Lloyd sottolinea come la negatività della figura di Berlusconi sia stato anche quello di aver costretto i giornalisti a schierarsi: o con lui o contro di lui. Con inevitabili (ed evidenti) conseguenze negative per la professione: «Il bipolarismo giornalistico è stato la logica conseguenza per un paese la cui storia politica è diventata, fondamentalmente, la storia di Berlusconi, narrata in decine di migliaia di ore di televisione che lo dipingono in maniera perlopiù positiva; in migliaia di articoli di giornale che me offrono un giudizio misto, a seconda di chi sia il proprietario della testata; e in centinaia di libri e saggi che sono per lo più critici nei confronti del Cavaliere. Nel corso del ventennio berlusconiano, le divisioni nel mondo del giornalismo si sono accentuate, con la destra prima, e la sinistra poi, che hanno preso posizioni intransigenti e iper aggressive l’una nei confronti dell’altra».

Gli autori descrivono dettagliatamente anche il ruolo di supplenza esercitato da Repubblica negli anni in cui la sinistra politica non è stata in grado di contrastare seriamente Berlusconi. Un ruolo più “politico” che giornalistico.

Sulla sponda opposta si è avuto Il Giornale di Feltri e il metodo Boffo. Ma anche e soprattutto, seppure con metodologie diverse, il settimanale berlusconiano Chi che si occupa di politica e lo fa «confondendo politica, costume e pettegolezzo, influenzando il lettore in maniera più subliminale e, pertanto, più efficace». Viene ricordata anche la puntata di Kalispera dedicata all‘intervista di Signorini a Ruby : «A essere premiata non è più la capacità di costruire inchieste attente alla verità e ai dettagli, ma quella di presentare in maniera verosimile storie anche false ma comunque utili nell’ambito dello scontro politico». Il finto ex fidanzato. E non solo.

C’è poi la vicenda del Tg1 a guida Minzolini (ora, giustamente, senatore berlusconiano) con i dati relativi allo squilibrio nei confronti di governo e maggioranza (che fu, fino alla secessione finiana, “bulgara”). E malgrado le difficoltà in atto, i due autori concludono sostenendo che il futuro del giornalismo italiano potrà passare dalla Rai. Speriamo che qualcuno a Palazzo Chigi se ne accorga.

Ad maiora

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Ferdinando Giugliano e John Lloyd

Eserciti di carta, come si fa informazione in Italia

Feltrinelli

Milano, 2013

Euro 18

La guerra dei vent’anni. Scende in campo Valentino Valentini

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Ho visto un ampia presentazione su Studio Aperto del secondo speciale che Mediaset metterà in onda per difendere il proprio datore di lavoro dalle accuse della Procura di Milano.
Il “servizio” del tg era tutto incentrato sulle parole di Valentino Valentino, che già al processo Ruby aveva dichiarato di ave chiamato lui in Questura e poi aver passato il telefono all’allora presidente.
Per sapere chi è questo personaggio (che abitualmente rifugge i media), rimando a questo post che gli avevo dedicato qualche tempo fa.
Ad maiora

Zapping mondiale: Ruby fa il giro del mondo

ruby protestaOggi saranno felici quei giornalisti provinciali che dicono che una notizia ha fatto “il giro del mondo”..

Lo show di Ruby sui gradini del Tribunale di Milano (di gran moda in questo periodo) compaiono sul Corriere del Ticino , Al Jazeera, e sul Guardian. Salirà il nostro spread? La tedesca Faz parla della nostra politica spiegando: non si muove foglia che Berlusconi non voglia.

Per il resto a Madrid in mostra gli scatti del grande Kapuscinski. Lo riferisce El Pais.

Il Newcastle infine crea stanze per la preghiera per i giocatori musulmani. Lo racconta Al Arabiya.

Ad maiora

Da #Ruby al #Trota. Così fan tutte.

Rassegna stampa random.

Ruby divide la stampa.

Da Repubblica: “Ruby, flop dei testimoni: Nipote di Mubarak? Alla cena non se ne parlò”.

Dal Giornale: “I testimoni confermano: Il Cav parlò di Ruby al vertice con Mubarak”:

Da L’Eco di Bergamo: “Il sosia di Maradona arraffa la pistola mentre lo arrestano”. E’ successo a Caprino. L’hanno poi steso col calcio della pistola. Un’altra.

Dal Corriere: “Affidata al papà. No, alla madre. Una ragazzina tra due giudici. Tiene un blog per stare con il genitore, ma la sua volontà non conta. A quattordici anni, contesa tra New York e Pisa”.

Ah, molti giornali hanno in prima pagina l’arresto di Yoani Sanchez. Ma è stata liberata nella notte.Carta invecchiata un secondo dopo essere stata stampata.

E a proposito di blogger. Da La Provincia di Varese: “Trota diffamato. Blogger colpevole”. Dovrà dargli 5mila cucuzze.

Chiudo col Giornale, che magari non comprate: “Altro che ‘mal di testa’. Ora sono le donne ad avere il chiodo fisso”. L’occhiello, davvero non banale: “Così fan tutte. Basta tabù tra le lenzuola”: Pagina 18 è tutta dedicata al tema. L’alto pezzo, sui vip: “E pure le brave ragazze vogliono ‘farlo strano’. Da Clerici a Cuccarini: fioccano le confessioni hard delle star per famiglie”.

Che sia un buon sabato, per loro e per voi.

Ad maiora

Italia: 150 anni, ma non sembra ancora maggiorenne

La confusione in cui si dibatte il nostro Paese si nota anche nella difficoltà di collocare anagraficamente le persone. E non mi riferisco a Ruby di cui ora si “scopre” la possibile maggior età, per un ritardo di registrazione all’anagrafe marocchina (ma il presidente del Consiglio dei ministri nella telefonata che fece alla Questura di Milano – non nell’esercizio delle sue funzioni visto che del caso avrebbe dovuto al più occuparsi il ministro dell’Interno o quello degli Esteri se si temevano ripercussioni internazionali per il fantomatico zio – chiese l’affidamento alla Minetti di Ruby in quanto minorenne, il che fa cadere questa tardiva difesa).
L’età comunque viene valutata a seconda delle epoche. Se ai tempi di Dante il mezzo del cammin della vita era 35 anni, ora il tutto si è spostato, molto in là. Tempo fa mi è capitato, in un servizio, di definire “di mezza età” una signora cinquantenne, attirandomi gli strali di colleghe sui 50. E a nulla è valsa la mia difesa che in questo modo auguravo almeno 100 anni di vita. L’obiettivo sono davvero i 120 anni cui si sta lavorando al San Raffaele?
Nell’attesa, non sappiamo più come definire le persone. Un quarantenne è un giovane uomo? E un sessantenne? A che età si diventa anziani? Quando a Dan Peterson feci notare che tre del suo quintetto avevano meno anni di lui, mi ringraziò polemicamente di saper far di conto.
Concludo con argomenti più tristi. Yara Gambirasio, 13 anni. Finché era solo scomparsa era definita “ragazzina”. Ora che è stata assassinata i tg la definiscono “bambina”. Forse un modo di impietosire l’uditorio. Ma sicuramente una definizione errata che stona con la realtà di un Paese, dove nessuno diventa mai adulto. Nemmeno di fronte alla morte.
Ciao Yara, che la terra ti sia lieve.