Mediaset

Il ruolo della Rai e del servizio pubblico

Ha ancora un senso nel 2015, nel nostro paese, un servizio pubblico finanziato dal canone? E’ quanto si è chiesta Daria Marangon, una delle studentesse da me seguite che oggi ha presentato la sua tesi all’Università degli studi di Milano. Per la candidata la risposta è affermativa. Non solo per il nobile passato che analizza nel lavoro (dall’ormai mitizzato Maestro Manzi alla diffusione, per la prima volta, di una lingua unitaria) ma anche per il presente. La Marangon infatti segue nella tesi le difficoltà con cui Viale Mazzini si è rapportata nei primi anni della concorrenza, soprattutto con Mediaset, ma analizza anche come la Rai sia riuscita a fornire ai telespettatori un prodotto che – anche nell’era del digitale – riesce a soddisfare una larga fetta di opinione pubblica. Il tutto soppesando il ruolo che ha avuto e ha la politica sui destini di questa azienda, davvero unica.

Ad maiora

Da Quelli che…il calcio a Quelli che il calcio. Analisi di un talk show sportivo

C’era una volta…e c’è ancora. Anche se tutto è cambiato, intorno a lui.

È un po’ questo il filo conduttore della tesi di laurea specialistica di Elisabetta Vinciguerra in discussione in questi giorni alla Statale di Milano. Il focus di questo lavoro è infatti su uno storico programma Rai: Quelli che il calcio.

La tesi, dopo aver analizzato lo sport in tv e il ruolo dei talk, parte dalle origini di questo talk show sportivo che ha avuto come primo conduttore Fabio Fazio, con spalle del calibro di Teo Teocoli e Anna Marchesini, ma anche Suor Paola (la zia simpatica di Suor Cristina) e Peter Van Wood. Erano anni in cui i soldi di Sky e Mediaset non erano abbastanza per comprarsi ogni spazio del mondo del calcio in tv e nei quali anche un programma come Quelli che poteva collegarsi dagli stadi, anche solo per vedere l’esultanza dei tifosi (e, perché no, del Leone di Lernia).

Dopo il 2000 il programma deve necessariamente cambiare veste e adattarsi pian piano alla rigidità delle regole imposte dalla concorrenza. Simona Ventura, che prende il posto di Fazio, inserisce nel talk show sportivo personaggi di altri talk da lei condotti (L’Isola, Music Farm e X Factor). Dal 2005 lo spazio riservato al calcio diminuisce radicalmente. Mediaset, dopo aver acquistato i diritti sui campionati, impedire qualunque collegamento dagli stadi e cerca addirittura di impedire al programma di Raidue di dare i risultati delle partite. Ma invano.

Si arriva infine a Victoria Cabello e Nicola Savino. Gli ospiti (a volte) parlano di calcio, ma ormai sono fondamentalmente personaggi televisivi a tutto tondo. E sono proprio quelli che, secondo il sondaggio che la studentessa ha realizzato tra il pubblico, attirano gli ascoltatori.

Insomma, una tesi che analizzando un programma riesce a raccontare come si è evoluta (o involuta) la tv del nostro paese.

Ad maiora

Eserciti di carta. La vittima è l’informazione

Ecco un libro che ho inserito nell’elenco degli spunti che consiglio agli studenti che vogliano fare la tesi su tematiche televisive. Questo Eserciti di carta, come si fa informazione in Italia di Ferdinando Giugliano e John Lloyd (Feltrinelli) è un volume che analizza il ventennio berlusconiano ma visto principalmente sul fronte televisivo. Che è stato decisivo, come sapete.

Il volume analizza i rapporti tra il magnate di Sky e quello di Mediaset, con un interessante confronto: «Un’analogia fra Murdoch e Berlusconi è che tutti e due si sono, almeno inizialmente, messi contro l’establishment dei loro rispettivi paesi. Entrambi amano dunque dipingersi come degli outsider, degli iconoclasti, come delle forze destabilizzanti che cercano di rimuovere quel marcio che ha costretto i cittadini in un vicolo cieco fatto di inefficienze, letargo e ideologie obsolete. Tra i miti a cui né Berlusconi né Murdoch credono c’è quello della divisione dei poteri, uno dei capisaldi delle democrazie occidentali. A questo mito viene contrapposta una visione molto meno complessa della realtà, quella presente nelle televisioni e nei tabloid, dove qualsiasi questione può essere risolta immediatamente. (…) Per quanto profonde siano le somiglianze fra Murdoch e Berlusconi, va sottolineato che il magnate australiano non ha mai provato a scendere in politica in prima persona. E nonostante egli abbia influenzato per molti anni le scelte dei politici inglesi, il suo potere è oggi fortemente ridimensionato. (…) Più in generale, è legittimo sostenere che nessun leader di un paese democratico in Europa, Nord America, Giappone o Australia ha potuto beneficiare di una concentrazione di potere mediatico e politico simile a quella di cui ha potuto godere Silvio Berlusconi».

Il volume di Giugliano e Lloyd sottolinea come la negatività della figura di Berlusconi sia stato anche quello di aver costretto i giornalisti a schierarsi: o con lui o contro di lui. Con inevitabili (ed evidenti) conseguenze negative per la professione: «Il bipolarismo giornalistico è stato la logica conseguenza per un paese la cui storia politica è diventata, fondamentalmente, la storia di Berlusconi, narrata in decine di migliaia di ore di televisione che lo dipingono in maniera perlopiù positiva; in migliaia di articoli di giornale che me offrono un giudizio misto, a seconda di chi sia il proprietario della testata; e in centinaia di libri e saggi che sono per lo più critici nei confronti del Cavaliere. Nel corso del ventennio berlusconiano, le divisioni nel mondo del giornalismo si sono accentuate, con la destra prima, e la sinistra poi, che hanno preso posizioni intransigenti e iper aggressive l’una nei confronti dell’altra».

Gli autori descrivono dettagliatamente anche il ruolo di supplenza esercitato da Repubblica negli anni in cui la sinistra politica non è stata in grado di contrastare seriamente Berlusconi. Un ruolo più “politico” che giornalistico.

Sulla sponda opposta si è avuto Il Giornale di Feltri e il metodo Boffo. Ma anche e soprattutto, seppure con metodologie diverse, il settimanale berlusconiano Chi che si occupa di politica e lo fa «confondendo politica, costume e pettegolezzo, influenzando il lettore in maniera più subliminale e, pertanto, più efficace». Viene ricordata anche la puntata di Kalispera dedicata all‘intervista di Signorini a Ruby : «A essere premiata non è più la capacità di costruire inchieste attente alla verità e ai dettagli, ma quella di presentare in maniera verosimile storie anche false ma comunque utili nell’ambito dello scontro politico». Il finto ex fidanzato. E non solo.

C’è poi la vicenda del Tg1 a guida Minzolini (ora, giustamente, senatore berlusconiano) con i dati relativi allo squilibrio nei confronti di governo e maggioranza (che fu, fino alla secessione finiana, “bulgara”). E malgrado le difficoltà in atto, i due autori concludono sostenendo che il futuro del giornalismo italiano potrà passare dalla Rai. Speriamo che qualcuno a Palazzo Chigi se ne accorga.

Ad maiora

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Ferdinando Giugliano e John Lloyd

Eserciti di carta, come si fa informazione in Italia

Feltrinelli

Milano, 2013

Euro 18

Il futuro della Rai

Il futuro della Rai, il servizio radiotelevisivo pubblico, avrà ripercussioni su tutto il giornalismo italiano. Malgrado i molti problemi che deve affrontare le tante controversie e manovre politiche che la avviluppano, la Rai resta una delle più grandi aziende di servizio pubblico radiotelevisivo del mondo. Ha dimostrato di avere la creatività e l’energia per relegare, quasi sempre, al secondo posto le reti Mediaset, e continua a fornire agli italiani notizie, dibattiti, sport, intrattenimento, spettacolo nonché le cerimonie e gli eventi principali della vita pubblica. Benché un numero sempre crescente di giovani – come succede in tutto il mondo – preferisca andare su internet, l’appuntamento coi telegiornali resta imprescindibile per molti.
Ferdinando Giugliano e John Lloyd, Eserciti di carta, Feltrinelli, 2013

Per chi ha ancora voglia di ragionare.
Ad maiora

Tv-trash italiana: confronto tra programmi Rai e Mediaset

Una delle accuse che più spesso viene mossa alla tv statale è di essersi adattata a quella commerciale. Lo ha fatto anche per reggere la concorrenza ma è indubbio che non sempre, come richiesto dal presidente Tarantola, è difficile percepire la differenza tra canali pubblici e privati, soprattutto tra quelli generalisti.

La tesi di Norella Licursi va ad affrontare i programmi simili che si possono vedere sui principali canali e li mette a confronto. La studentessa che si è laureata in questi giorni all’Università degli studi di Milano ha analizzato “Ti lascio una canzone” e “Io canto”, “Il Grande fratello” e “L’isola dei famosi, “Forum” e “Verdetto finale”.

Racconto brevemente solo i risultati dell’analisi di quest’ultimo confronto.

Forum costruisce, (anche falsamente come si è visto in questi anni, ad esempio con la vicenda aquilana) veri e propri casi con attori, senza dichiararlo. Verdetto finale mostra un falso buonismo, sempre con attori, ma dichiarati. Alla fine, malgrado il trash, la Licursi valuta che la trasmissione di Mediaset contribuisce di più alla “formazione giuridica del telespettatore”.

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