Alessandro Robecchi

Estate 2015, 10 libri da mettere in valigia

Ogni lista è un arbitrio, dipende da troppi fattori. Ma ho voglia di condividere con voi i libri che ho letto in questi primi mesi del 2015 (indicandovi quelli che trovate ancora in libreria) e che, se non li avessi già divorati, avrei messo in valigia.
Il mix di autori, argomenti e generi è casuale e totalmente personale. Prendetelo come un flusso di coscienza.

Ad maiora

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1. Ho letto con estremo ritardo Norwegian Wood, il libro più noto di Murakami Haruki, autore giapponese del quale mi sono innamorato con 1Q84. Norvegian ha come protagonista Watanabe Toru, invaghito da sempre della fidanzata del suo migliore amico. E’ un libro tutto rivolto al passato, al ricordo, spesso struggente. Ma sempre presente. Volume imperdibile anche per meglio comprendere quelli successivi dello scrittore ciclicamente candidato al Nobel e mai vincente (sarebbe una perfetta storia per i suoi libri). Riflessivo.

2. Ancora per la serie “libri letti con colpevole ritardo” non posso non segnalare Vita e Destino di Vasilij Grossman, autore sovietico il cui ampio volume – a mia parziale discolpa – è stato pubblicato postumo, dopo una serie di ostacoli posti dalle autorità sovietiche. Nel testo si intrecciano le vite di tanti attori,  non protagonisti. L’assedio a Stalingrado fa da sfondo e i destini dei personaggi raccontano, meglio di qualunque saggio, la brutalità del regime sovietico (paragonato, non a caso, a quello nazista). Immenso.

3. Un libro uscito quest’anno è invece Dove sei stanotte di Alessandro Robecchi. Ero già rimasto favorevolmente colpito dal primo volume di questa che si presenta come una serie di noir legati a Milano e con protagonisti sconfitti ma combattivi, che cercano di non affondare nella melma della grande metropoli. Anche in questo secondo libro il protagonista è, suo malgrado, Carlo Monterossi, autore televisivo che odia la tv. La storia questa volta si svolge ai tempi dell’Expo. Attuale.

4. Faccio un ultimo salto su libri usciti qualche anno fa che avevo clamorosamente bucato: Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano di Eric-Emmanuel Schmitt. E’ un romanzo che parla di religione e di quell’amicizia capace di far superare le differenze, di vedere la vita con gli occhi dell’altro. Il viaggio del commerciante sufi e del ragazzino ebreo verso la Mezzaluna d’oro è davvero coinvolgente. Commuovente.

5. Ho già scritto su queste pagine virtuali che Cattivi di Maurizio Torchio è decisamente il miglior libro che abbia letto quest’anno. Per ora rimane in testa, con parecchie lunghezze di vantaggio. E’ un romanzo che parla di carcere, anche se ridurlo a ciò è limitante. Le sbarre, l’isolamento, spingono Torchio a entrare nel corpo di chi è recluso e a percepire la sua (e la nostra) vita. Imperdibile.

6. Chi mi segue sa che da qualche anno mi sono messo a correre. Sarà la crisi della mezza età o quel che volete, ma io mi diverto e sto bene. Il mio mettermi pantaloncini, maglietta e scarpe e partire ovunque mi trovi ha spinto chi mi vuol bene a cominciare a regalarmi libri che cercano di spiegare al mio io razionale (quasi sempre perdente) il perché di ciò che ho iniziato a fare per istinto. Il volume che, per primo, meglio mi ha fatto capire come la corsa sia insita nello spirito umano è stato Born  to Run di Christopher McDougall. Il volume descrive, in modo divertente, un gruppo di super atleti messicani. Ma in realtà si rivolge a ognuno di noi. Puntuale.

7. Riguarda la corsa ma soprattutto la resilienza un altro dei libri regalatomi dagli amici al mio compleanno (per questo organizzo le feste…). E’ Tecniche di resistenza interiore di Pietro Trabucchi. Personalmente, quando leggo – fin da quando ero ragazzino – mi appunto (per meglio ricordarmele e per farmele penetrare nella pelle) le più belle frasi che leggo. Ebbene di questo volume di Trabucchi mi sono trascritto molti brani. Alcuni li ho estrapolati sul blog. Resiliente.
8. Lo inserisco in questo elenco perché è un libro che ha stupito anche me. Una vita al Massimo di Massimo Ferrero e Alessandro Alciato racconta gli esordi dell’attuale presidente della Sampdoria. Ho imparato a conoscerlo soprattutto grazie a Crozza e l’ho qualche volta incrociato al Marassi. Le sue avventure giovanili (compreso il carcere minorile) me lo hanno ricollocato in un quadro diverso (e migliore). Sorprendente.

9. Nelle prime pagine (complice l’introduzione di Jovanotti) mi era sembrato un libro adolescenziale. E invece lo inserisco in quelli da mettere in valigia perché Mi hanno regalato un sogno dimostra la grande maturità (oltre alla grande voglia di vivere) di Bebe Vio, atleta con disabilità. La scena che più mi ha fatto riflettere è la discussione che la ragazzina (ora 17enne, campionessa di scherma, amputata da gambe e braccia) ha avuto con Arrigo Sacchi, nel ritiro della Nazionale di calcio Under 21 pre Europei di Israele. Lei insisteva sul valore (anche metaforico, aggiungo io) della vittoria, mentre il mister ribatteva che l’importante è partecipare. Altri punti persi dall’ex CT azzurro. Positivo.

10. Il più bel romanzo d’amore che ho avuto in mano quest’anno, l’ho finito pochi giorni fa. E’ Una notte soltanto, Markovitch, opera prima – e davvero emozionante – di una giovane israeliana, Ayelet Gundar-Goshen. Parlare d’amore è un po’ riduttivo, perché il libro (le cui vicende si accavallano tra la fuga degli ebrei dall’Europa e la nascita di Israele) fa piangere e sorridere. E i personaggi sono descritti così bene che ci si può immedesimare – a seconda della fase della loro e della vostra vita – in parecchi di loro. Cardiotonico.

Finisco con una citazione, tratto da un libro che ho letto l’estate scorsa, ZeroZeroZero, di Roberto Saviano:

“Nulla è più potente della lettura, nessuno è più bugiardo di chi afferma che leggere un libro è un gesto passivo. Leggere, sentire, studiare, capire è l’unico modo di costruire vita oltre la vita, vita a fianco della vita. Leggere è un atto pericoloso perché dà forma e dimensione alle parole, le incarna, le disperde in ogni direzione. Capovolge tutto, fa cadere dalle tasche del mondo monete e biglietti e polvere. (…) Conoscere è iniziare a cambiare“.

Buona lettura!

Ad maiora

 

Una notte soltanto, Markovitch

“Al di fuori di Rachel Mandelbaum, nessuno sapeva che la tristezza di Zeev Feinberg si era gonfiata fino a inglobare anche sua moglie, sempre piena di vita. I colpi alla porta ruppero la quiete calata ormai da tempo sulla casa di Sonia e Zeev Feinberg. C’era un tale silenzio che le mosche la evitavano, imbarazzate dal rumore delle loro ali che riempiva le stanze. “.

Il capitolo da cui ho tratto queste poche righe è uno dei più immaginifici del bellissimo Una notte soltanto, Markovitch, opera prima della scrittrice (e attivista dei diritti civili) Ayelet Gundar-Goshen.

Ho già scritto che il miglior libro da me letto quest’anno è Cattivi, di Maurizio Torchio. Quello che mi ha fatto più sorridere Dove sei stanotte di Alessandro Robecchi. E allora vi dico che questo romanzo che ha come protagonista Yaakov Markovitch, è quello che mi ha fatto più sognare. Parla di amore e di storia (degli ebrei, di Israele e non solo) questo libro il cui personaggio principale mi ha ricordato un po’ l’incolore Tazaki  Tsukuro del grande Murakami Haruki.

Come tutte le storie d’amore (sono più di una, spesso intrecciate) queste della Gundar-Goshen fanno prima sorridere e poi (piangere). Nella prima parte succede di tutto. Solo quando la finite, vi rendete conto che quello è il Prima, cui seguirà un Durante e poi un Dopo (seguito, nel finale, da un Dopo Dopo).

Il libro che chiaramente vi consiglio ha una bellissima struttura narrativa e una traduzione (di Ofra Bannet e Raffaella Scardi) davvero ben fatta. Non perdetelo.

Ad maiora

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Ayelet Gundar-Goshen

Una notte soltanto, Markovitch

Giuntina, Firenze 2015

Il noir di Robecchi nella Milano di Expo

Il secondo episodio di una serie di libri è sempre il più complicato. Soprattutto se il primo è andato bene. Alessandro Robecchi riesce invece a essere convincente anche in questo suo secondo giallo, sempre ambientato a Milano. “Dove sei stanotte” non solo parla di Milano, ma addirittura di Expo e quindi potrà essere lettura gustosa per chi si prepara per i 20 milioni di turisti attesi (sulla cifra, totemica, Robecchi scherza a più riprese).

Anche in questo libro (come in Questa non è una canzone d’amore, edito sempre da Sellerio) il protagonista è Carlo Monterossi, autore televisivo che non ama la tv e che si infila sempre in un mare di guai. Guai che questa volta lo conducono a una storia d’amore (che in qualche modo ci aspettiamo abbia conseguenze nel terzo volume. che a questo punto attendiamo fiduciosi).

Robecchi (ex Cuore, ex Piovono Pietre di Radio popolare ora nel gruppo di Crozza) ha nello scrivere uno stile ironico che lo rende davvero riconoscibile. Come molti milanesi, ama e odia la sua città e i suoi abitanti. Che adorano le quattro ruote come pochi altri: “Contravvenendo alle sue abitudini, sottraendosi alle spire del vizio, tradendo un dogma della sua personale religione, e al tempo stesso il genius loci milanese, smentendo i luoghi comuni che come si sa hanno sempre ragione, Carlo Monterossi decide di non prendere la macchina e andare al lavoro con i mezzi pubblici. Passano quaranta secondi e cinquanta metri e ha già cambiato idea, ma ormai sta scendendo le scale della metropolitana, e allora decide di continuare in quella mossa contronatura”.

Alessandro ha, come già capitato nei precedenti libri, una grande capacità di descrizione, immaginifica: “Ha la faccia di uno che ha nascosto il veleno per i topi nei cereali e poi se n’è scordato e ha fatto colazione”.

Su Maria, la donna che ha fatto innamorare Monterossi: “Le gambe che spuntano dal vestito che arriva appena sopra il ginocchio sono forse il prototipo perfetto su cui il Signore ha progettato le gambe, il modello insomma, l’originale, il calco primigenio. “Devono essere così”, avrà detto ai suoi ingegneri. E quelli a borbottare su quel vecchio perfezionista incontentabile”.

La trama vede un duplice omicidio, con la polizia che fatica perché deve fare i salti mortali per coprire tutte le scorte a politici e diplomatici impegnati nella kermesse mondiale e fatica a stare dietro a un caso appena più complesso di una rissa tra immigrati (che pure hanno un ruolo centrale nella parte del libro incontrata al Corvetto).

Il commissario Gregori sbotta così col vicesoprintendente Ghezzi: “Non mi rompa il cazzo anche lei coi turni e gli straordinari e la burocrazia… Io sto già qui con ‘set carature di cazzo… Il Ghana, l’Africa, il cibo e la speranza… sa dove se la può infilare la speranza il presidente del Ghana?… Esposizione universale dei miei coglioni… questa è l’esposizione universale della rottura di palle!”.

Buon Expo. Anzi buona lettura.

Ad maiora

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Alessandro Robecchi

Dove sei stanotte

Sellerio

Pagg. 355

Euro 14

Questa non è una canzone d’amore, ma vi farà ridere ugualmente

“Questa non è una canzone d’amore” il nuovo libro di Alessandro Robecchi è diverso dai suoi precedenti. L’autore (uno dei guru che lavorano dietro le quinte di Crozza) si è infatti cimentato in un giallo, scritto però in un modo che se lo leggete a letto mentre qualcuno al vostro fianco sta dormendo, rischierete di svegliarlo.

Soffocare le risate, comunque non è sano…

La trama è complicata ma ha al centro Milano (e il suo agghiacciante e sconfinato hinterland) e il tema dell’amore (che fa fare di tutto), sentimento di cui si riempiono le trasmissioni televisive. Nella vita reale e in questo libro.

Come ogni giallo che si rispetti, il finale è a sorpresa e i cattivi perdono.

Ciò che mi piace sottolineare è però lo stile assolutamente godibile con cui Robecchi ha scritto queste pagine edite da Sellerio.

Vi faccio degli esempi (i titoli sono miei).

Servilismo statale (siamo in Questura, entra il Pm): “Fortunatamente per lui si apre la porta ed entra un tizio. Sovrintendente e vicesovrintendente si alzano come un sol uomo, deferenti. Gregori, invece, alza il culo di qualche millimetro, un gesto provato per anni, riprovato, raffinato, collaudato, portato alla perfezione. Un gesto che affonda le sue radici in secoli di pubblica amministrazione, di graduatorie statali, di sua eccellenza, di vossignoria, di servo vostro, di dica dottore. Un gesto che è insieme l’accettazione delle regole e una piccola ribellione.”

Il Pm: “È alto, magro, sui quaranta, con la barba appena accennata. Pantaloni di velluto, giacca di velluto, gilet di velluto, occhiali di velluto, mezzo toscano spento di velluto, una ventiquattrore di velluto e Clarks beige ai piedi? Se i magistrati vogliono smettere di farsi dare dei comunisti sarà meglio che comincino a vestirsi in un altro modo”.

Una foto con soggetto femminile: “È il primo piano di una donna, né giovane né vecchia, sulla quarantina portata male, sulla cinquantina portata bene, se ne ha trenta, invece, ha vissuto in povertà alla periferia di Bucarest. Se qualcuno le ha detto ‘come sei carina’, ha smesso dopo la prima comunione”.

Il viale che porta a San Siro: “A sinistra invecchiano malamente palazzi alti degli anni Settanta, piastrellati in klinker, con portoni in alluminio anodizzato fuori e ceto impiegatizio dentro, anodizzato anche lui. A destra, invece, piccoli blocchi in cemento color cemento con minuscoli cortili in comune, balconcini bassi, mono-bu-trilocali di edilizia popolare. Tipo periferia di Beirut sfuggita alle bombe, ed era meglio se non sfuggiva”.

Sguardo femminile critico: “Purtroppo, tra il fatto che è solo un uomo e il fatto che sfiora il patetico, Nadia lo guarda come Cortés guardava gli aztechi: due parti di disprezzo, una di schifo e una scorza di aperta derisione, che quello non vede in quanto accecato dal suo stupido piacersi”.

Mi fermo.

Ho riso anche solo a scrivere e riportarvi queste frasi. Che non sono esaustive del libro, ma che rendono un idea del tipo di lettura. Da fare questa estate.

Ad maiora

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Alessandro Robecchi

Questa non è una canzone d’amore

Sellerio editore

Palermo, 2014

Pagg. 420

Euro 15

PIOVONO PIETRE, SERENE, MODERATE E SOPRATTUTTO A CHILOMETRI ZERO

Linea 94. Pioggerellina e freddo autunnale. Un tipo, con cuffiette d’ordinanza sta leggendo un libro. Ride. Da solo, come uno scemo.

Quello scemo sono io. E il libro è Piovono pietre di Alessandro Robecchi che Laterza ha appena mandato in libreria.

Compratelo, fatevelo prestare o noleggiare. Ma soprattutto leggetelo.

Le “cronache marziane da un paese assurdo” si snodano su alcuni concetti chiave: la serenità, il moderatismo e il chilometro zero.

Sereni d’Italia è il primo paragrafo che già vale il prezzo del biglietto, anzi del volume: «Sereno. È quasi sempre una parola ostentata, comunicata al mondo e proclamata. C’è chi tiene a far sapere in giro che è sereno, lo grida e lo rivendica. Lo scrive e lo timbra come un’autocertificazione. Mi chiedo perché. Dubito che lo farebbe uno che è sereno sul serio, seraficamente intento a godersi la sua serenità senza farsi un vanto o un annuncio per le masse. C’è dell’ipocrisia, inutile negarlo. Dice “sono sereno” chi non è sereno per niente, è un’affermazione con la smentita incorporata, una palinodia in tempo reale. Viene il sospetto che “sono sereno” sia una scappatoia buona per quando si resta senza parole. Non proprio un’alzata di spalle, non ancora ma qualcosa che la precede, una mossa propedeutica al mettersi il cuore in pace. Diciamolo il “sono sereno” suona un po’ come un “ma lasciatemi in pace”. Amen.». Robecchi, da genio della satira qual è (collabora d’altronde con Crozza e fa le Figu su Rai 3), nel testo non dimentica anche Piergianni Prosperini che, al momento dell’arresto, più che sereno si disse “bello tranquillo, paciarotto”.

E paciarotto è anche Robecchi quando affronta il secondo cardine del suo libro: il moderatismo. Se la prende col “Bokassa dei moderati”, dallo stile di vita moderatissimo: «Costruirsi un vulcano in giardino non vi pare un illuminante segnale di sobrietà? Solo gente moderatamente cieca potrebbe scambiare tutto ciò per moderatismo. Eppure.»

Eppure Robecchi (che definisce il Grande Fratello, «una cosa demodé come il rosolio») si occupa del moderatismo imposto a noi telegiornalisti. Come le colleghe del Tg1 criticate perché “fanno le facce”: «A questo siamo. Al moderarsi la faccia, alla censura delle espressioni del viso. Il che è bizzarro, a pensarci, di fronte a visi pochissimo moderati: labbra gonfie come gommoni Zodiac, zigomi sostenuti da putrelle in silicone, iniezioni di botulino. Ma fare una faccia perplessa no, non è consentito».

Ma si rivolge anche ai giornalisti economici, alle frasi fatte di chi segue l’andamento della finanza, alle “espressioni figurate” e “descrizioni immaginifiche”: «Tipo la Borsa che si muove in territorio negativo, come se fosse una specie di giungla dove le azioni vengono catturate e forse mangiate da chissà quale selvaggio feroce e incivile. Mentre se la Borsa si muovesse in territorio positivo sarebbe, chissà, uno scampanellare di cherubini ricchi in euro, dollari o materie prime, che festeggiano gioiosi perché la Borsa sale. Il che significa, dati i tempi, che qualcuno ha perso il lavoro, che quel che si faceva a Padova ora si fa in Moldova, che costa meno. Su le azioni, hurrà! Territorio positivo! E un sacco di nuovi poveri che non sanno che fare. Forse girano a vuoto, esuberi umani, incazzati come cobra».

Ultima icona moderna, il chilometro zero: «Se devo dirla tutta, questa faccenda del chilometro zero, presa alla lettera, può portare alla denutrizione. Ad esempio: io abito nel centro di Milano. Dunque, ho passato due giorni a fare l’elenco di cosa potrei mangiare che sia allevato o coltivato, o che cresca spontaneamente, a meno di un chilometro da casa. Alla fine ho optato per certe bacche raccolte ai giardinetti, di cui ignoro tutto e specialmente se siano commestibili, e una gustosa insalata scovata in un’aiuola spartitraffico. Purtroppo non esistono ulivi, né saline e dovrò mangiarla scondita. Non importa. È il principio che conta». Ma non solo: «Chi voglia affinare le sue qualità di animale tecnologico totale mangiando a “chilometri zero” nel centro di una grande città è bene che si alleni. Catturare un piccione non è poi così difficile: se ne trovano di zoppi, perché il traffico cittadino ha anche i suoi pregi».

Potrei continuare, ma poi non finisce che non me lo leggete.

Un tempo Piovono pietre era la trasmissione mattutina di Robecchi su Radio popolare. Quel risveglio – tra il divertito e l’amaro – non c’è più da anni. Ma è lo stesso spirito che alimenta queste pagine.  Per chiudere con una citazione interna al volume, è una delle cose per cui vale la pena vivere.

Ad maiora.

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Alessandro Robecchi

Piovono pietre

Editori Laterza

Bari, 2011

Pagg. 181

Euro: 15