Roberto Saviano

Estate 2015, 10 libri da mettere in valigia

Ogni lista è un arbitrio, dipende da troppi fattori. Ma ho voglia di condividere con voi i libri che ho letto in questi primi mesi del 2015 (indicandovi quelli che trovate ancora in libreria) e che, se non li avessi già divorati, avrei messo in valigia.
Il mix di autori, argomenti e generi è casuale e totalmente personale. Prendetelo come un flusso di coscienza.

Ad maiora

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1. Ho letto con estremo ritardo Norwegian Wood, il libro più noto di Murakami Haruki, autore giapponese del quale mi sono innamorato con 1Q84. Norvegian ha come protagonista Watanabe Toru, invaghito da sempre della fidanzata del suo migliore amico. E’ un libro tutto rivolto al passato, al ricordo, spesso struggente. Ma sempre presente. Volume imperdibile anche per meglio comprendere quelli successivi dello scrittore ciclicamente candidato al Nobel e mai vincente (sarebbe una perfetta storia per i suoi libri). Riflessivo.

2. Ancora per la serie “libri letti con colpevole ritardo” non posso non segnalare Vita e Destino di Vasilij Grossman, autore sovietico il cui ampio volume – a mia parziale discolpa – è stato pubblicato postumo, dopo una serie di ostacoli posti dalle autorità sovietiche. Nel testo si intrecciano le vite di tanti attori,  non protagonisti. L’assedio a Stalingrado fa da sfondo e i destini dei personaggi raccontano, meglio di qualunque saggio, la brutalità del regime sovietico (paragonato, non a caso, a quello nazista). Immenso.

3. Un libro uscito quest’anno è invece Dove sei stanotte di Alessandro Robecchi. Ero già rimasto favorevolmente colpito dal primo volume di questa che si presenta come una serie di noir legati a Milano e con protagonisti sconfitti ma combattivi, che cercano di non affondare nella melma della grande metropoli. Anche in questo secondo libro il protagonista è, suo malgrado, Carlo Monterossi, autore televisivo che odia la tv. La storia questa volta si svolge ai tempi dell’Expo. Attuale.

4. Faccio un ultimo salto su libri usciti qualche anno fa che avevo clamorosamente bucato: Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano di Eric-Emmanuel Schmitt. E’ un romanzo che parla di religione e di quell’amicizia capace di far superare le differenze, di vedere la vita con gli occhi dell’altro. Il viaggio del commerciante sufi e del ragazzino ebreo verso la Mezzaluna d’oro è davvero coinvolgente. Commuovente.

5. Ho già scritto su queste pagine virtuali che Cattivi di Maurizio Torchio è decisamente il miglior libro che abbia letto quest’anno. Per ora rimane in testa, con parecchie lunghezze di vantaggio. E’ un romanzo che parla di carcere, anche se ridurlo a ciò è limitante. Le sbarre, l’isolamento, spingono Torchio a entrare nel corpo di chi è recluso e a percepire la sua (e la nostra) vita. Imperdibile.

6. Chi mi segue sa che da qualche anno mi sono messo a correre. Sarà la crisi della mezza età o quel che volete, ma io mi diverto e sto bene. Il mio mettermi pantaloncini, maglietta e scarpe e partire ovunque mi trovi ha spinto chi mi vuol bene a cominciare a regalarmi libri che cercano di spiegare al mio io razionale (quasi sempre perdente) il perché di ciò che ho iniziato a fare per istinto. Il volume che, per primo, meglio mi ha fatto capire come la corsa sia insita nello spirito umano è stato Born  to Run di Christopher McDougall. Il volume descrive, in modo divertente, un gruppo di super atleti messicani. Ma in realtà si rivolge a ognuno di noi. Puntuale.

7. Riguarda la corsa ma soprattutto la resilienza un altro dei libri regalatomi dagli amici al mio compleanno (per questo organizzo le feste…). E’ Tecniche di resistenza interiore di Pietro Trabucchi. Personalmente, quando leggo – fin da quando ero ragazzino – mi appunto (per meglio ricordarmele e per farmele penetrare nella pelle) le più belle frasi che leggo. Ebbene di questo volume di Trabucchi mi sono trascritto molti brani. Alcuni li ho estrapolati sul blog. Resiliente.
8. Lo inserisco in questo elenco perché è un libro che ha stupito anche me. Una vita al Massimo di Massimo Ferrero e Alessandro Alciato racconta gli esordi dell’attuale presidente della Sampdoria. Ho imparato a conoscerlo soprattutto grazie a Crozza e l’ho qualche volta incrociato al Marassi. Le sue avventure giovanili (compreso il carcere minorile) me lo hanno ricollocato in un quadro diverso (e migliore). Sorprendente.

9. Nelle prime pagine (complice l’introduzione di Jovanotti) mi era sembrato un libro adolescenziale. E invece lo inserisco in quelli da mettere in valigia perché Mi hanno regalato un sogno dimostra la grande maturità (oltre alla grande voglia di vivere) di Bebe Vio, atleta con disabilità. La scena che più mi ha fatto riflettere è la discussione che la ragazzina (ora 17enne, campionessa di scherma, amputata da gambe e braccia) ha avuto con Arrigo Sacchi, nel ritiro della Nazionale di calcio Under 21 pre Europei di Israele. Lei insisteva sul valore (anche metaforico, aggiungo io) della vittoria, mentre il mister ribatteva che l’importante è partecipare. Altri punti persi dall’ex CT azzurro. Positivo.

10. Il più bel romanzo d’amore che ho avuto in mano quest’anno, l’ho finito pochi giorni fa. E’ Una notte soltanto, Markovitch, opera prima – e davvero emozionante – di una giovane israeliana, Ayelet Gundar-Goshen. Parlare d’amore è un po’ riduttivo, perché il libro (le cui vicende si accavallano tra la fuga degli ebrei dall’Europa e la nascita di Israele) fa piangere e sorridere. E i personaggi sono descritti così bene che ci si può immedesimare – a seconda della fase della loro e della vostra vita – in parecchi di loro. Cardiotonico.

Finisco con una citazione, tratto da un libro che ho letto l’estate scorsa, ZeroZeroZero, di Roberto Saviano:

“Nulla è più potente della lettura, nessuno è più bugiardo di chi afferma che leggere un libro è un gesto passivo. Leggere, sentire, studiare, capire è l’unico modo di costruire vita oltre la vita, vita a fianco della vita. Leggere è un atto pericoloso perché dà forma e dimensione alle parole, le incarna, le disperde in ogni direzione. Capovolge tutto, fa cadere dalle tasche del mondo monete e biglietti e polvere. (…) Conoscere è iniziare a cambiare“.

Buona lettura!

Ad maiora

 

#leggere

Nulla è più potente della lettura, nessuno è più bugiardo di chi afferma che leggere un libro è un gesto passivo. Leggere, sentire, studiare, capire è l’unico modo di costruire vita oltre la vita, vita a fianco della vita. Leggere è un atto pericoloso perché dà forma e dimensione alle parole, le incarna, le disperde in ogni direzione. Capovolge tutto, fa cadere dalle tasche del mondo monete e biglietti e polvere. (…)

Conoscere è iniziare a cambiare.
Roberto Saviano, Zero Zero Zero, Feltrinelli, Milano, 2013

 

Buona domenica

Ad maiora

Verso #ijf14 La maledetta polvere bianca che arricchisce le mafie: a Perugia mercoledì si dibatte di narcotraffico

“Il Messico è l’origine di tutto. Il mondo in cui ora respiriamo è Cina, è India, ma è anche Messico. Chi non conosce il Messico non può capire come funziona oggi la ricchezza di questo pianeta. Chi ignora il Messico non capirà mai il destino delle democrazie trasfigurate dai flussi del narcotraffico. Chi ignora il Messico non trova la strada che riconosce l’odore del denaro, non sa come l’odore del denaro criminale possa diventate un odore vincente che poco ha a che fare con il tanfo di morte miseria barbarie corruzione. Per capire la coca devi capire il Messico.”
Questa frase di Roberto Saviano dell’interessante Zero Zero Zero ci introduce al dibattito sul narcotraffico che modererò mercoledì 30 aprile al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia: http://www.festivaldelgiornalismo.com/programme/2014/coca-rosso-sangue
A discutere di questo tema (che ci tocca davvero da vicino) il fotografo spagnolo Edu Ponces e la giornalista di Avvenire Lucia Capuzzi che alla narcoguerra messicana ha dedicato un libro, recensito qualche mese fa:
https://andreariscassi.wordpress.com/2013/12/30/messico-la-narcoguerra-che-ci-riguarda-da-vicino/
Saviano nel suo ultimo testo dedicato all’oro bianco (“Non esiste investimento finanziario al mondo che frutti come investire nella cocaina. (…) La cocaina è un bene rifugio. (…) Si vende più facilmente dell’oro e i suoi ricavi possono superare quelli del petrolio) dedica molto spazio al cartelli messicani che hanno ormai preso il posto di quelli colombiani, alleandosi sempre con la feccia di casa nostra: la ‘ndrangheta.
I narcotrafficanti messicani sono avvantaggiati dall’essere vicino agli States che attraggono polvere bianca e migranti: “È un colabrodo il confine tra Messico e Stati Uniti, il maggiore consumatore al mondo della sostanza bianca. Non c’è un attimo che qualcuno non l’attraversi con la coca nei pannolini del poppante o nella torta portata dalla nonna ai nipotini. Circa venti milioni di persone vi passano ogni anno, più di qualsiasi altra frontiera del pianeta. Gli statunitensi riescono a controllare al massimo un terzo degli oltre tremila chilometri di recinzione, elicotteri, sistemi infrarossi. Tutto questo non ferma nemmeno il flusso di clandestini che rischiano la morte nei deserti e ingrassano i coyotes, i contrabbandieri di esseri umani controllati dai cartelli messicani. Ha anzi creato una doppia fonte di guadagno: se non hai i millecinquecento-duemila dollari per pagare il coyote, puoi sdebitanti infilando La coca nel bagaglio. Impossibile controllare tutte le persone, le auto, le moto, i camion, i pullman gran turismo che fanno la coda ai quarantacinque varchi ufficiali”.
La soluzione che Saviano propone nelle ultime pagine del suo libro per ovviare a questa drammatica crisi (quasi totalmente ignorata dall’agenda setting, del giornalismo e della politica) è la legalizzazione della droga, perché “va a colpire là dove la cocaina trova il suo terreno fertile, nella legge economica della domanda e dell’offerta: prosciugando la richiesta tutto ciò che sta a monte avvizzirebbe come un fiore privato dell’acqua”.
Un vecchio cavallo di battaglia dei radicali. Un tema che cercheremo di affrontare con quanti ci seguiranno mercoledì a Perugia.
Ad maiora
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Roberto Saviano
Zero Zero Zero
Feltrinelli
Milano, 2013

Our school, “Walter Tobagi”

Assemblea , via Skype, tra gli studenti delle scuole di giornalismo di Mosca e Milano. Alla Casa dei giornalisti della capitale russa si sono trovati (insieme ai colleghi della Novaja Gazeta) gli studenti della MGU, la principale università di giornalismo della capitale russa, la stessa dove ha studiato Anna Politkovskaja. E proprio dalla figura della giornalista russa assassinata il 7 ottobre del 2006 da sconosciuti, è partita la discussione sulla libertà di stampa in Europa.

Da Milano ci siamo connessi dalla scuola di giornalismo “Walter Tobagi”, dell’Università Statale di Milano. E proprio dal collega assassinato trent’anni fa è partito il discorso dei praticanti italiani. Ecco quel che hanno scritto e mandato a Mosca come contributo, tre degli studenti milanesi: Carlotta Mariani, Micol Sarfatti e Massimo Tagariello.

Ad maiora.

Ps. Sono gli stessi giovani giornalisti (a Milano e ovunque in Italia) cui le redazioni (stimolate dalla FNSI) in questi giorni sbattono le porte in faccia e boicottano gli stage. Salvo poi, quando escono le statistiche ISTAT sui cosiddetti bamboccioni, sollevare il solito finto pianto greco sui giovani che non hanno opportunità. Alla faccia della coerenza.

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Our school’s name is Walter Tobagi.
Walter Tobagi was an italian journalist killed on 28th of May 1980, exactly 30 years ago. He was involved in articles about terrorism and violent groups that were trying to take control of the Italian Government and was shot because of that.
Walter Tobagi was not the only one. Giovanni Spampinato, Giuseppe Fava, Carlo Siani are just some names of italian journalists killed by mafia all around the country. And the list could be much longer.
Roberto Saviano, the writer who denounced the dark affairs of the Camorra in his book “Gomorrah”, has been living under escort for 4 years now. He is often accused by politicians of using mafia issues for purposes of fame and success.
According to the latest survey from Reporters Sans Frontieres, Italy has plummes from the 35th rank in 2007 to the 49th last year. Our country is labelled as “partly-free”, the only case in Western Europe.

Nowadays there’s a harsch debate about a decree intending to rule out the publishing of telephone leaks until judicial investigations are done. Many media editors, even the ones siding the Government, are opposing this prospective law, claiming that without this kind of information many of the recent political and economic scandals would not have been uncovered.

Last but not least, most journalists are not free to write whatever they want out of unsustainable pressures by the media ownership. Almost all of the owners of newspapers, radios and tv’s have their core business in some other industries, which forbids reporting bad news about them.

We end up asking ourselves the big question: is there freedom of press in our country? We wouldn’t go straightforward with a “yes” or “no”. But we will keep asking it again and again.