Università Statale degli Studi di Milano

Factual Entertainment, dagli zoo umani ai reality televisivi

C’erano una volta gli zoo umani, frutto esibizionista del colonialismo che portava in madre patria esemplari di “selvaggi” per mostrare come fossero incompatibili con la nostra “civiltà”. Erano soggetti da mettere in mostra per far vedere cosa fosse l’Altro, che necessitava di rieducazione.

Ora gli zoo umani sono scomparsi (quelli degli animali, purtroppo no) ma l’esposizione mediatica dell’Altro, unita alla ricerca della spettacolarizzazione di sé hanno trovato il loro sbocco naturale in tv, nei reality prima e ora nel factual entertainment, che trova la sua collocazione naturale nei canali del digitale terrestre.

Di questo si occupa la tesi di Rachele Bonzi, oggi in discussione alla Statale di Milano. Un bel lavoro (accompagnato anche da un interessante sondaggio) nel quale si spiega la genesi di questo genere di rappresentazione televisiva nel quale si mettono in mostra difetti e abilità di persone comuni, si racconta l’ordinario, esplorandone però le intimità. E’ un genere televisivo che, come spiega la laureanda, catalizza il voyeurismo diffuso, nella duplice veste di spettatore e attore, ruoli intercambiabili nella transtelevisione.

Obiettivo: cambiare. Almeno esteriormente, almeno a telecamere accese.

Ad maiora

La guerra mediatica: il ruolo delle televisioni e dei social media nel conflitto in Siria

Carola Aresi in questa tesi in discussione in questi giorni alla Statale di Milano affronta la novità dei conflitti moderni: non più la sola televisione, ormai entrata a pieno titolo nei protagonisti bellici, ma anche i social network. La connessione tra questi due media crea dei meccanismi di informazione spesso. Ma anche di disinformazione.

La laureanda ha analizzato in particolare casi nei quali sono state date notizie che sembravano far ricadere tutte le colpe sul governo di Damasco. E quando sono giunti nuovi elementi che invece spostavano la bilancia delle responsabilità verso i ribelli, si è taciuto o quasi. L’attenzione della Aresi si è concentrata soprattutto sulla strage di Houla del 25 maggio 2013 e sull’attacco chimico a Ghouta (del 21 agosto 2013).

L’analisi televisiva verte soprattutto su Cnn e Al Jazeera, due emittenti concorrenti ma le cui linee editoriali, spiega la Aresi, sono ormai, in questo scenari, convergenti.

Ad maiora

STUDIARE (PER FERMARE) L’IMPRESA MAFIOSA

Ricevo e volentieri pubblicizzo la notizia di questa summer school, diretta dal professore (e amico) Nando dalla Chiesa (che spero presto presiederà anche la commissione-comitato antimafia del Comune di Milano) sull’impresa mafiosa.

Il fatto che si svolga al nord e a pochi giorni dall’uscita dell’importante (si può ancora dire, malgrado i divertenti strali di Gianni Mura?) libro di Gianni Barbacetto, mi sembra vieppiù significativa.

Ad maiora.

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Lunedì 12 settembre presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano si inaugura, con il saluto di apertura del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, la prima Summer School sulla criminalità organizzata.

L’edizione di quest’anno, patrocinata dalla Commissione Parlamentare Antimafia, dal Comune di Milano e da Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, è dedicata all’approfondimento e aggiornamento delle principali tematiche relative all’IMPRESA MAFIOSA.

Il rapporto tra mafia e impresa ha assunto sempre più centralità nel dibattito sulla criminalità organizzata e sulle misure operative e legislative volte a contrastarla. Dalle più recenti ricerche sociologiche ed economiche e dalle indagini giudiziarie emerge infatti un quadro segnato da preoccupanti novità. In particolare al modello dell’infiltrazione mafiosa nell’economia si sta sostituendo un modello di integrazione delle imprese mafiose nel tessuto socio-economico. Da qui l’importanza di munirsi, oggi, di nuovi e adeguati strumenti di analisi e di contrasto del fenomeno mafioso, in linea con le veloci trasformazioni delle sue manifestazioni nel contesto nazionale e internazionale.

La scuola, diretta dal Professore Nando dalla Chiesa con la collaborazione della dott.ssa Ombretta Ingrascì, si avvale di un corpo docente di altissimo livello, composto  da professori universitari e da esponenti di rilievo delle istituzioni, del mondo delle imprese e dell’associazionismo antimafia (Ivan Cicconi, Francesco D’Alessandro, Piercamillo Davigo, Gianluca Faraone, Francesco Greco, Lorenzo Frigerio, Mario Centorrino, David Lane, Ivan Lo Bello, Donato Masciandaro, Monica Massari, Loretta Napoleoni, Michele Polo, Michele Prestipino, Vincenzo Ruggiero, Rocco Sciarrone, Alberto Vannucci, Marco Vitale, James Walston).

I corsisti ammessi appartengono a diverse categorie professionali -giornalisti, insegnanti, studenti, esponenti delle forze dell’ordine, quadri di aziende private, di amministrazioni pubbliche e di organizzazioni del terzo settore.

Per maggiori informazioni:

summerschool.dssp@unimi.it

www.dssp.unimi.it/summerschool/organizedcrime

La notizia smarrita? Cercatela su internet

Un libro di un amico e di un collega che racconta del nuovo giornalismo. Paolo Costa nel suo “La notizia smarrita” spiega come si sta evolvendo la professione di fronte ai nuovi media. Il volume ha due obiettivi:  «Sfatare il mito secondo il quale internet costituirebbe la causa prima della crisi del giornalismo e l’altro mito che considera l’informazione “dal basso”, prodotta dai blog e dal cosiddetto giornalismo partecipativo, necessariamente migliore di quella professionale, in quanto non asservita a logiche del potere politico o economico». Due miti che nel corso delle 224 pagine verranno smontati pezzo a pezzo.

Nella sua analisi, l’autore esce dagli schemi (coloniali) che parlano solo ed esclusivamente dell’Occidente, dove diminuiscono i lettori di giornali. Ma non è così in tutto il mondo. «Affermare che i giornali vendano e si leggano sempre meno è corretto solo con riferimento alla situazione negli Stati Uniti e nel resto dell’Occidente. A livello mondiale il quadro è ben diverso. Secondo la World Association of Newspapers più di 1,7 miliardi di persone quotidianamente leggono il giornale. In particolare nel 2007 più di 532 milioni di persone hanno comprato il giornale. Nel 2003 erano 486 milioni. La crescita è stata nel quinquennio del 9,4%. Considerano anche la free press si arriva al 14,3%.»

Va rilevato che « il numero delle testate giornalistiche è cresciuto in tutto il mondo, tranne che negli Stati Uniti. Oggi 74 del 100 quotidiani più diffusi del mondo sono stampati in Asia. In generale si può dire che le diffusioni soffrono nei paesi più ricchi, mentre sono in crescita in quelli in via di sviluppo». Questo non vuol dire che dobbiamo trasferirci in Asia o Africa, ma che si deve tener conto di tutto il mondo, non solo del nostro orticello (anche se ora particolarmente scarso e chiuso in sé stesso).

Va calcolato che a differenza di quel che succede in Italia, «la crisi della stampa quotidiana negli Stati Uniti è, prima di tutto, la crisi della stampa locale».

In che misura questo quadro è condizionato dall’avvento dei nuovi media? E’ la domanda cui risponde Paolo Costa che si concentra sul quesito se l’informazione online sottragga spazio alla carta stampata. «Stando all’analisi del Readership Institute la risposta è affermativa per il 27% dei lettori, i quali hanno dichiarato di aver ridotto il consumo dei giornali a stampa in seguito alla visita di un giornale online». Ma in generale cresce (negli States e non solo) il numero di quanti “non consumano informazione” o che hanno la tv come principale (e spesso unico) canale dal quale scoprono quel che accade nel mondo (rectius, quello che gli facciamo sapere che accada, che è decisamente meno).

Internet, ha un nucleo più ristretto di pubblico rispetto alla tv, ma ha l’enorme vantaggio che i suoi utenti partecipano più alla vita pubblica. È la rivoluzione 2.0 che sta lentamente arrivando anche nel Bel Paese. « In Italia – scrive Costa – il 94,3$ degli italiani ha guardato la tv tutti i giorni mentre solo il 56,6% ha letto il giornale almeno una volta la settimana. Di qui il calo di 4,4% tra il 2008 e il 2009. La televisione è lo strumento informativo più usato dagli italiani (44,2%), seguito dal giornale (20%) e dalla radio (15%)».

Da questo deriva che solo il 7% si fa influenzare al voto dalla Rete mentre il 78,3% decide in base a quel che sente in tv. Un dato già alto ma in crescita. Anche per questa ragione, «nel 2008 è andato alla televisione il 55% degli investimenti. A livello mondiale tale quota è del 37,8% mentre in Europa non supera il 30%».

Paolo Costa affida però le sue speranze nel futuro, nel fatto che il modello della tv generalista sia giunto al capolinea: « L’avvento della tecnologia trasmissiva digitale (via satellitare o terrestre) ha reso possibile la proliferazione dei canali e la nascita di un’offerta verticale, a pagamento». Non solo a pagamento se vediamo quanti nuovi canali stiano nascendo sul digitale terrestre. So ad esempio che a Sky cominciano a temere che qualcuno rinunci alla loro cara piattaforma per rifugiarsi nel digitale, comodo soprattutto in un periodo di crisi economica (riconosciuta persino dall’ottimista governo Berlusconi).

La buona novella che porta Paolo Costa, almeno per noi che dello scrivere ogni giorno abbiamo fatto una professione è che, anche nell’era Internet dovremmo avere un nostro spazio. Sembra che infatti gli utenti (come segnalava un convegno organizzato alla Statale di Milano lo scorso anno dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia) privilegino nei blog quelli curati da giornalisti. E gli esempi di successo sono sotto gli occhi di tutti: Alessandro Gilioli, Luca Sofri, Massimo Mantellini, Pino Corrias, Marco Travaglio, Vittorio Zambardino, Peter Gomez, Paolo Attivissimo e Luca de Biase, solo per citare i più noti (e più bravi).

«Giornalisti che usano il blog come mezzo per raggiungere il proprio pubblico e interagire con esso, di blogger che in realtà fanno giornalismo tradizionale, di ex giornalisti convertiti al blogging».

Costa (che non si è limitato al libro ma che cura anche un ottimo sito: http://www.paolocosta.net/)  analizza i siti più diffusi nel nostro Paese, quelli legati ai quotidiani nazionali e rileva che, come nella carta stampata, cercano di essere tuttologi, di non puntare a un target. Esattamente il contrario di quel che sta accadendo in Usa, dove anzi si propende per il coinvolgimento degli utenti dal basso (è quello che farà il fattoquotidiano.it quando supererà la crisi per troppi contatti di questi giorni).

Il giornalista moderno dovrà comunque essere cross mediale, capace cioè di fare il mestiere con molte piattaforme. E quanto è accaduto in Iran con Twitter dimostra che la rete è in grado di sfuggire ai regimi più liberticidi. Pensiamoci…

Paolo Costa

La notizia smarrita

Giappichelli editore

Torino, 2010.

Euro: 22