Tunisia

maidan arancione durante la rivoluzione a kiev in ucraina

Le piazze arancioni, da Kiev a Milano

Tra ieri e oggi più di un giornale ha mostrato le foto della piazza dell’Indipendenza a Kiev durante la rivoluzione arancione affiancandole con quelle delle piazze arancioni di Milano e Napoli.

Ho avuto la fortuna – professionale  – di essere presente in entrambe le occasioni. Sia in Ucraina, sul Maidan, nel 2004, sia l’altra sera in piazza Duomo a Milano.

Il colore arancione per quanti parteciparono alla campagna per le presidenziali ucraine fu una scelta dirompente. Era un superamento del rosso. Ma era anche una identificazione molto forte. Lì chiunque lo indossasse, chiunque lo esponesse al balcone come al finestrino dell’auto, segnalava la propria posizione politica, il proprio contrapporsi al regime di Kuchma e Janukovich.

Si usava il proprio corpo, i propri vestiti, come strumento per fare politica. Uno strumento rischioso. Non scoppiò la guerra civile solo per l’estrema responsabilità sia dei militari che di chi gestì quella piazza enorme. E uno dei giornalisti di punta dell’opposizione non finì, pochi mesi prima, decapitato.

Su quelle vicende ho anche scritto un libro: Bandiera arancione la trionferà (Melampo, 2007). Ero ai tempi convinto che quella scossa democratica avrebbe potuto minare le fondamenta della Russia di Putin. Ma l’omicidio della Politkovskaja e l’abile azione controrivoluzionaria messa in campo dal regime (grazie ai Nashi, veri balilla putiniani, in queste settimane estive di nuovo impegnati nei week end procreativi per mantenere la russità della Madre Patria) fecero naufragare tali velleità.

Eppure quel virus democratico è arrivato fino al Mediterraneo. Dapprima con le rivoluzioni in Egitto e Tunisia. Lì non si è utilizzato l’arancione ma il pugno chiuso di Otpor (movimento serbo filo-americano e anti-Milosevic dal quale tutto è partito) che ha cominciato a sventolare in piazza Tahir ha dato l’idea di un testimone che non è stato lasciare cadere. A tal proposito suggerisco la lettura del libro di Gene Sharp “Come abbattere un regime” appena pubblicato da Chiarelettere.

Ora quelle bandiere e quei palloncini arancioni hanno accompagnato le vittorie elettorali di De Magistris e Pisapia. Anche se, a differenza che a Kiev o al Cairo, qui i rischi per chi manifesta in tal modo sono, fortunatamente, pochi.

L’entusiasmo che portò alla vittoria elettorale (al terzo turno) di Jushenko in Ucraina si è trasformato in breve tempo in una grande delusione. Le divisioni nello schieramento arancione hanno contribuito alla plateale sconfitta nelle ultime presidenziali ucraine.

Staremo a vedere se a Milano e Napoli gli “arancioni” riusciranno a non commettere gli stessi errori.

Ad maiora.

Un barcone di migranti

“Può la Chiesa essere equidistante?”

Come scriveva una volta Repubblica (quando era Repubblica), riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera (aperta) della Comunità di base diretta ai cristiani di Busto. E’ un invito alla responsabilità dopo le parole sui migranti  dell’europarlamentare leghista Francesco Speroni (bustocco).

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Dall’intervista del 13 aprile 2011 a Radio 24 di Francesco Speroni, leader della Lega di Busto Arsizio, eurodeputato, presidente del Consiglio Comunale di Busto, candidato alle elezioni del 15 maggio 2011.

“Se uno invade le acque territoriali di un Paese sovrano è lecito usare le armi, questo è diritto internazionale. Non ce l’hanno certo scritto in fronte se sono profughi, ma non c’è una situazione in Tunisia che giustifichi l’arrivo di profughi. Hitler ha sbagliato tutto: se fosse vissuto nei giorni nostri avrebbe mandato dei tedeschi coi barconi a invadere il mondo e nessuno avrebbe potuto fermarli perchè ‘beh, ci sono le ragioni umanitarie’. Noi in Libano, in Afghanistan stiamo usando le armi, perchè non dobbiamo usarle per difendere i nostri confini? Si parla tanto dei 150 anni dell’Unità, qui si tratta di difendere i sacri confini della Patria come qualcuno ancora dice. Noi siamo invasi, c’è gente che viene in Italia senza permesso, violando tutte le regole. A questo punto vanno usati tutti i mezzi per respingerli, anche le armi.”

Cari fratelli cristiani di Busto, sono questi gli uomini politici e i partiti che pretendono di rappresentare le tradizioni cristiane della nostra terra? E’ a loro che vogliamo affidare il governo della nostra città per altri 5 anni? Sono questi, fratelli cristiani del PdL, gli alleati che avete scelto per le prossime elezioni? Cari pastori delle comunità di Busto, preti, parroci, padri spirituali, può la Chiesa essere equidistante quando si sentono pronunciare affermazioni come questa contro i fratelli, le donne, i bambini del continente africano che fuggono dalla guerra e dalla miseria? Il Vangelo di Matteo, al capitolo 25, è chiaro ed inequivocabile. Su quelle carrette del mare c’è anche Cristo. Vogliamo sparargli perché non ha le carte in regola?

 “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra; Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me.”

Non abbiamo altro da aggiungere. Un fraterno, accorato saluto.

La Comunità Cristiana di Base di Busto Arsizio, il 14 aprile 2011

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Ad maiora

Dagli Amici miei (italiani) mi guardi Iddio…

Quando la scorsa settimana il Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana è andato a Tunisi e ha espresso sentimenti di “amicizia” verso la nuova dirigenza tunisina, quelli saranno sbiancati.

Siamo un Paese che (dai vertici fino agli strati più bassi) corre perennemente in soccorso al vincitore, passa il tempo a domandarsi quale possa essere il carro vincente.

Ricordo una fantastica striscia di Andrea Pazienza dove Pertini (Pert) si stupiva di tutti gli ex fascisti riciclati nella repubblica. D’altronde fino a poche settimane prima della fine del fascismo, le piazze erano piene e adoranti verso il Duce.

Successe anche a Craxi, mille anni dopo. Prima incensato poi preso a monetine.

Accade anche con gli allenatori di calcio. Lippi, tornato come salvatore dell’italica patria del pallone, poi liquidato dopo l’imbarazzante gita sudafricana. Ma pure Leonardo, passato in quattro-giorni-quattro da essere l’uomo giusto per galvanizzare l’Inter a una specie di pippa seduta al posto sbagliato.

È lo stesso film che ha visto protagonista anche il leader di Futuro e libertà, Gianfranco Fini: fino a che sembrava indirizzato alla vittoria, aveva frotte di parlamentari (ma anche militanti) pronti a giurargli fedeltà. Alla prima (pesante) sconfitta è stato un fuggi-fuggi. E sì che a destra erano quelli di  “onore e lealtà”… Devono davvero essere cambiati i tempi.

I tunisini – dicevamo – saranno sbiancati alle parole del cd-premier-italiano perché il trattato di amicizia con la Libia (votato praticamente all’unanimità dal parlamento italiano, tuttora in vigore) è lì a testimoniare che, anche a livello di amicizie interazionali, meglio perderci che trovarci.

In Francia non hanno ancora dimenticato di quando, nella Seconda Guerra, gli dichiarammo guerra mentre stavano per soccombere ai nazisti. Coi quali entrammo in guerra solo perché convinti di una rapida vittoria (Franco, più astuto di Mussolini, non commise quell’errore e rimase in sella fino alla fine dei suoi giorni).

Semmai Gheddafi cadesse per davvero (al momento si sta andando verso una sorta di Somalia nel Mediterraneo, altra nostra ex colonia frutto di un successo targato Onu e Usa), l’incontro coi nuovi governanti dovrebbe, da parte loro, rispecchiare – in vista di possibili accordi economici – le parole  che (nel magnifico Amici miei, pure quello mandato in vacca in ‘sti giorni) il professore Sassaroli rivolge all’architetto Melandri che ha una relazione con sua moglie: “Vede, è tutta una catena di affetti che né io né lei possiamo spezzare. Lei ama mia moglie. Mia moglie è affezionata alla bestia, il cane Birillo, che mangia un chilo di macinato al giorno, un chilo e mezzo di riso e ogni mattina bisogna portarlo a orinare alle 5 sennò le inonda la casa. Birillo adora le bambine. Le bambine sono attaccatissime alla governante, tedesca, due anni di contratto, severissima, in uniforme. Insomma, chi si prende Donatella si prende per forza tutto il blocco”.

Tutto il blocco lo stiamo già prendendo ora. Magari aiuta elettoralmente però.

Vedremo.

Ad maiora.