Sergio Calabrese

Quelli che… Beppe Viola! (tesi)

Quando ho deciso di passare a Raisport non ho potuto non pensare ai (loro sì grandi) giornalisti che mi avevano preceduto in corso Sempione. Tra questi Beppe Viola che è davvero uno che manca tantissimo. Proprio a Beppe è dedicata una delle tesi in discussione oggi: è di Daniele Buonamici e si intitola “Quelli che…Beppe Viola! Un giornalista che ha sempre sorriso alla vita”.

La tesi inizia descrivendo come sia cambiato il ruolo del giornalista sportivo nel nostro paese: in una nazione che vive di calcio, la funzione del cronista che si occupa di pallone ha sempre avuto quasi un ruolo di vestale.

Più paludato nel passato, ai tempi della paleotelevisione, urlato e caricato nell’era dello sportainment.

Quando la Rai deteneva il monopolio, Viola fu comunque in grado di rompere gli schemi e di usare l’ironia (materia difficile e spesso mal maneggiata) anche per parlare di calcio. Forse anche perché, Beppe – come viene ben spiegato da Buonamici – fu ben più di un giornalista, diventando anche autore, insieme al suo amico Enzo Jannacci.

Nella tesi ci sono anche le interviste alla figlia Marina (autrice del libro “Mio padre è stato anche Beppe Viola”) e al suo (e mio) collega Sergio Calabrese.

Beppe ci ha lasciato nel 1982. Ma, come si vede, non è stato dimenticato.

Ad maiora

Le Tele “visioni” di Sergio Calabrese

20131130-165059.jpg
Sergio Calabrese è stato per anni uno degli inviati di punta della Rai di Milano. Sia per il tg che per Raisport. La sua telecamera ha inquadrato ogni angolo del mondo dove accadessero fatti importanti, di cronaca, di politica e anche e soprattutto di sport (di calcio, in primis).
Sergio che è in pensione da un lustro ma che mi sembra attivo come prima ha pubblicato i suoi racconti di viaggio e le sue riflessioni in un libro dal titolo Tele “visioni”. Il sottotitolo sembra parte delle lezioni che tengo in università: Non appaio, dunque esisto.
È un libro divertente e intelligente pubblicato autonomamente dall’autore. Tanti spunti sul giornalismo televisivo (e non solo) ma anche sulla cronaca, sulla politica e sul costume. Tutti cambiati in questi anni, sotto gli occhi attenti e curiosi di Sergio.
La sua visione, caustica, della realtà, è ben sintetizzata in questa frase (inserita nel paragrafo dedicato a reality e talent): “Chi scrive ha avuto qualche decennale frequentazione del pianeta televisione e può affermare senza dubbio che la presenza di una telecamera altera i comportamenti e alimenta il narcisismo. Chiunque, in presenza della telecamera (anche quella del video-citofono) assume atteggiamenti e gestualità che altrimenti non si sognerebbe di adottare”.
Chi mi segue ricorderà che qualche post del buon Sergio Calabrese è stato ospitato anche su questo blog. Forse anche per questo, venerdì prossimo, 6 dicembre, avrò l’onore di presentare Tele “visioni” nella seconda casa di Sergio,il Tennis Club di Vigevano (via del Convento 15).
Chi è di quelle parti, venga. Non se ne pentirà.
Ad maiora

………
Sergio Calabrese
Tele “visioni”
ilmiolibro.it
Pagg. 395
Euro 22

Video dunque sono

20130902-232613.jpg
Ricevo e volentieri pubblico le riflessioni dell’amico Sergio Calabrese. È il suo “taccuino d’estate 2013”.
Ne parlerò di sicuro a lezione.
Ad maiora

………………

Correva l’anno 1987 e sul piccolo schermo della tv pubblica impazzava una trasmissione dal titolo “Indietro tutta”: un programma scaturito dalla visionaria fantasia di Renzo Arbore. Era uno show atipico, leggero come una bibita estiva, che fa parte ormai della storia della televisione italiana. La sigla d’apertura era una marcetta ruffiana dal titolo “Sì, la vita è tutta un quiz”. Oggi, però, la vita “non è più un quiz”, come cantava la smandrappata ciurma del geniale Arbore. La nostra esistenza, agli albori del ventunesimo secolo, è diventata invece un live show. Non vi è angolo del pianeta, anche il più sperduto, che non sia costantemente monitorato, scrutato, filmato. Il nostro vivere quotidiano, anche quello più banale, diventa uno show da esibire, da condividere. Ogni giorno l’invadente occhio di migliaia di videotelefonini ci scruta, ci osserva e va in Rete. La gente non guarda più il mondo, lo riprende. “Video, dunque sono”.
Quest’anno, come non mai, l’intera penisola è caduta in preda alla febbre da video. Due italiani su tre non sono andati in vacanza e i consumi sono al palo per la fottuta crisi? No problem! Soltanto i prodotti hi tech non conoscono flessione anche in questi grami tempi. Se non giri con un palmare o con un iper tecnologico iPhone sei escluso dalla compagnia che conta e guardato come un alieno. Guai a separarsi dal prezioso strumento/giocatolo. Tutti a smanettare, digitare per comunicare all’intero mondo, 24 ore su 24, chissà quali importanti notizie: come se dai nostri messaggi dipendessero i destini dell’intero pianeta.
In giro per la penisola quest’estate ho visto cose…
In un villaggio vacanze, dove quel che rimane della classe media (forse con qualche senso di colpa nei confronti dei più sfortunati) può ancora permettersi una settimana sotto gli ombrelloni con la formula all inclusive, ho visto buona parte di quei “privilegiati” vacanzieri equipaggiati con ipad e smartphone d’ordinanza. Smanettavano al ristorante, in spiaggia, in piscina e, soprattutto, durante gli spettacolini che il gruppo dell’animazione della struttura metteva in scena. A proposito, poveri figli! Son ragazzi e ragazze che lavorano sedici ore al giorno per uno stipendio di 400 euro mensili, e la prima paghetta la percepiranno dopo parecchi mesi del primo giorno di lavoro. Molti sono laureati e fanno parte di quel 40% della galassia giovanile che forse non conoscerà mai un impiego stabile. Chiacchierando con loro mi hanno confessato che “prendere o lasciare!” Tutto sommato si considerano fortunati. La concorrenza nel mondo dell’animazione nei villaggi sparsi per la penisola è tanta ed è agguerrita. Ma tant’è.
Ho visto cose…
Al ristorante ho notato una bambina di due anni seduta sul canonico seggiolone digitare su un ipad con una maestria che mi ha lasciato di sale. Senza mai alzare la sua testolina dal suo tecnologico giocattolo alternava cucchiaiate di minestra e contemporaneamente si destreggiava con un giochino elettronico complicatissimo. Roba da fare andare in analisi tutti i narratori di favole, Collodi compreso. Al ristorante ho visto signore griffatissime fotografare fumanti pietanze per poterle apparecchiare, un secondo dopo, sulla tavola di Facebook e condividere quelle prelibatezze con la sua comunità. Se poi, per cercare il segnale si dovrà uscire dal ristorante, pazienza. I culurgiones e i malloreddus (piatti tipici della cucina sarda) si mangeranno freddi. E sì, nella società di oggi “la vita esiste se è presente nel web, non nei luoghi reali”- dice il sociologo Vanni Codeluppi. Sembra che l’uomo digitale non sia più in grado di vivere le emozioni in diretta. Prima deve inquadrare, filmare e archiviare nella memoria: non nella sua, ma in quella dell’hard disk. Osservate la gente al ristorante: invece di socializzare con i propri commensali, spesso si estranea inviando un diluvio di sms e chatta, chatta con chi è altrove. Anche in questi momenti di aggregazione ci si isola e ci si proietta in un’altra dimensione per condividere emozioni e sensazioni con chi si trova lontano da noi. Sembra che ciò che si vive in diretta vale meno se ciascuno di noi non la condivide con la comunità telematica. La realtà delle nostre sensazioni vive grazie soltanto alla sua rappresentazione mediatica. Carlo Freccero, massmediologo e autore televisivo, afferma che “Tutto ciò è il frutto della cosiddetta cultura della “facebookizzazione”. Dunque faccio tutto solo per poterlo trasmettere alla mia comunità virtuale”. Lo scrittore Walter Siti rincara la dose e dice: “Siamo tutti attori di uno spettacolo planetario, e se non partecipiamo, ci sentiamo esclusi”. Nell’era digitale per dimostrare di esistere davvero bisogna fissare i momenti della propria vita, anche quelli più banali, su una memoria digitale per poterla poi viverla in tempo reale attraverso i social network. Soltanto così la realtà esiste nella sua rappresentazione digitale. Saremo sempre più ostaggio della società tecnologica che ci indurrà, sempre più, a essere “schiavi” mediatici. “Video, dunque sono”, sarà l’imperativo prossimo venturo? A meno che… A meno che non emulare il pianista Keith Jarret il quale al recente Festival di Umbria Jazz prima di dare inizio al suo concerto ha preteso che tutti gli spettatori spegnessero i loro telefonini. “Le emozioni che dà la musica non si raccontano con un iphone. Si vivono!” In alcuni particolari momenti, forse, bisognerebbe spegnerli i nostri diabolici e amati (?) telefonini. Chissà, forse con questo semplice gesto le nostre emozioni si potrebbero vivere come una volta, quando i cellulari erano “addavenì”. Vi ricordate quando la nostra penisola era disseminata da tante cabine della Sip? Preistoria? No. Correvano soltanto gli anni Novanta del secolo scorso.
Alè!

Sergio Calabrese

Datemi un blog e solleverò il mondo

blogRicevo e volentieri pubblico (su questo blog) le riflessioni del collega e amico Sergio Calabrese.

Ad maiora

……………………..

Qualche millennio fa un mio “conterraneo”, tale Archimede di Siracusa-inventore e matematico- sentenziò: “Datemi una leva e vi solleverò il mondo”.

Oggi per cambiare il mondo ai “discendenti di Archimede basta soltanto la Rete.

 “Datemi un blog e vi rivolto il mondo”, è il nuovo verbo che impera nella società del ventunesimo secolo. Il blog, dunque, che dai siti Internet di mezzo mondo influenza il nostro quotidiano vivere. Tutti possono pubblicare un blog e, come in un diario, diffondere in Rete pensieri, valutazioni e contenuti multimediali. La parola blog, che deriva da web-log, vuol dire “diario in rete” ed è la nuova rivoluzionaria arma di distrazione di massa d’inizio millennio. E’ l’evoluzione della specie che parte dai giornali, alle televisioni, per arrivare ai social network. Piaccia o no, da Internet, sempre più, sarà edificato nei prossimi anni il sistema sociale, economico e politico del pianeta. Del resto, i nuovi media già da tempo indirizzano e influenzano l’opinione pubblica. Sono sempre più i messaggi che attraverso i social network dettano mode, comportamenti, tendenze e anche l’agenda politica. Ma molti leader politici, nella maggioranza dei casi, non sono ancora in grado di gestire questi nuovi potenti strumenti di comunicazione. La vecchia “casta” annaspa; dà l’impressione di non essere pronta a sfruttare a pieno tutta l‘immensa potenzialità dei nuovi media digitali. Internet e le televisioni sono diventate le piazze mediatiche attraverso le quali la stragrande maggioranza dei cittadini condivide le proprie opinioni. Le discussioni e le valutazioni sui politici si fanno anche con il tam tam dei social network. Oggi la metà degli italiani s’informa collegandosi quotidianamente con Internet e tra i giovani la percentuale sale al 65 per cento.

La diffusione della comunicazione in Rete ha mutato radicalmente il rapporto tra informazione e politica, modificandone i rapporti. Con qualche distinguo, però. Se analizziamo la recente campagna elettorale del movimento politico (5 stelle) che della Rete ha fatto lo strumento principale della sua propaganda elettorale, abbiamo visto che il suo carismatico padre-padrone Grillo oltre a parlare ai suoi adepti attraverso il suo blog è sceso anche nelle piazze, da Bolzano a Canicattì. “Il Grillo” ha riesumato con grande efficacia oratoria e “urlatoria” il vecchio desueto comizio tanto caro a Peppone e Don Camillo. Una piazza, un palco e vai con il bagno di folla. Poi il tutto poi finisce in Rete e diventa accessibile in ogni momento moltiplicando e diffondendo il messaggio.

L’espansione della comunicazione digitale ha cambiato, di fatto, il rapporto stesso tra informazione e politica.

Joshua Meyrowitz- sociologo americano- osservava che: “Anche le telecamere sono spietate e spesso invadono la sfera individuale del politico”. Nella recente campagna elettorale abbiamo visto in onda primi piani di esponenti politici sudaticci che facevano smorfie dopo aver detto una frase infelice”. Con Internet tutte queste gaffe si moltiplicano all’infinito e si paga pegno in termini di consenso elettorale. Oggi le battaglie politiche si vincono se si è telegenici e molto disinvolti davanti a una telecamera. Per avere consenso e non perderlo (i sondaggi sono diventati l’incubo di chi fa politica), bisogna adeguare il proprio messaggio ai nuovi linguaggi, alla sintesi, e alla velocità della comunicazione digitale. A volte bastano trenta secondi, come nella pubblicità televisiva, per rendere efficace come in un videoclip, il proprio messaggio. La politica diventa un prodotto di consumo: “se sei capace di reclamizzare il proprio programma, si vince!”. Sembra un paradosso, ma è così. E sì, cari lettori ed elettori, in questo strano “Paese delle Meraviglie” (copyright Maurizio Crozza che per nostra fortuna e sua, continua a fare il comico) in politica si afferma chi si presenta bene e non chi ha qualcosa da dire. Nell’era dell’apparire questo è, “se vi pare”, il brand vincente. I politici si vendono come un prodotto di largo consumo. Chi “scende” o “sale” in politica deve avere faccia tosta e bucare lo schermo, altrimenti è meglio desistere, come diceva il Principe De Curtis. Una bella faccia da c. che regala sogni e racconta frottole in quantità industriale vincerà sempre sul politico che ha tante cose importanti da dire, ma non sa comunicarle agli elettori. E proprio perché non sa divulgarle sarà un perdente a vita.

I blog, dunque, che sempre più diventeranno strumenti di (apparente ?, ndr) democrazia e partecipazione. Un’informazione libera e veloce tanta temuta dai regimi dittatoriali che non riescono a controllarla e la temono come fosse un’arma nucleare.

Mettere un diario in Rete vuol dire anche una fonte di guadagno che si ottiene con la pubblicità in pagina. Il blog a 5 stelle di mastro Grillo lo testimonia. Oltretutto sono dei siti che è molto facile aggiornare anche senza una specifica competenza informatica.

Una cosa è certa: “i progressi tecnologici stanno orientano sempre più le strategie di comunicazione”. E’ un cambio di marcia epocale di cui buona parte della classe politica italiana non può, nel prossimo futuro, tenere conto.

 Avviso ai naviganti, soprattutto a quelli che sono rimasti, nonostante tutto, a remare nella smandrappata scialuppa del fu Partito Democratico: “Per il casting delle prossime elezioni (speriamo le più remote possibili) reclutate, oltre a giovani capaci e preparati, anche qualche faccia da talk e da c. L’importante che sia telegenico e spari cazzate a raffica. Tanto il “popolo” quando si reca in “gabina” ha poca memoria, dimentica tutto. L’importante, come dice la mia amica Mariuccia è: “Che il pulitic in television as deva presentà ben”. 

“Tutto il resto è noia!”. Come recitava il “Califfo di Roma Ladrona”.

Alé!

Sergio Calabrese

Parole, parole, parole… Politici in campagna elettorale (di Sergio Calabrese)

anticorpi_videocraziaRicevo e pubblico questo articolo dell’amico e collega (ora in pensione) Sergio Calabrese su politica e tv (e pure gli Anticorpi di cui parla il mio libro). Io ho solo aggiunto i link…

Buona lettura.

Ad maiora

…………………….

Correva l’anno 1972. All’epoca, il sabato sera impazzava sul piccolo schermo un varietà che si chiamava Teatro 10. Una bella e sofisticata trasmissione condotta dal musicista jazz Lelio Luttazzi. Sigla di chiusura del varietà televisivo una canzone portata al successo da Mina e recitata da Alberto Lupo. Così, cinguettava la “Tigre di Cremona” -alias Mina Anna Mazzini- mentre guardava il suo languido spasimante Lupo Alberto: …”Le rose e i violini raccontali a un’altra… le tue sono soltanto “parole, parole, parole, soltanto parole”…

Se Dio vuole, il niagara di parole che lo smandrappato e male assortito esercito di politici ci ha rovesciato addosso per due mesi, tra pochi giorni finirà. Il 24 e il 25 febbraio prossimo ci recheremo alle urne e poi, finalmente, la riflessione e un po’ di silenzio.  

Questa campagna elettorale targata 2013 sarà ricordata come una delle più vuote e violente (verbalmente) della nostra recente storia repubblicana. Tutti contro tutti. I duellanti se le sono dette di tutti i colori, al pari di tante “vajasse”. Anche l’attuale premier, il pio professor Monti (pio una bella minkya, come si dice nella mia isola), dopo aver ingaggiato (pare) uno degli spin doctor che ha curato la campagna elettorale di Barack Obama, ha cambiato registro. Nelle sue surreali apparizioni televisive l’ex rettore della Bocconi sembrava doctor Jekyll e mister Hyde. Improvvisamente ha cominciato a menar fendenti ad alzo zero! Con tanti saluti al suo british style. “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, copyright John “Bluto Blutarsky” Belushi nel film Animal House, e a proposito, c’è qualcuno che afferma che la frase la pronunciò per primo Benito Mussolini: “Quello che ha fatto tante cose belle, a parte le leggi razziali” (Cavalier Silvio Berlusconi dixit). E di duri, o presunti tali, in questa tornata elettorale ne abbiamo visti in quantità industriale. Soprattutto nei salotti televisivi. Un’occupazione” manu militare”, quella operata dai duellanti pur di apparire da mattino a sera in tutte le trasmissioni televisive. Hanno fatto a gara chi sparava le balle più grosse. Ci hanno risparmiato soltanto la “Prova del Cuoco” by Antonella Clerici. Che spettacolo sarebbe stato vedere- ad usum elettrice casalinga di Voghera- gli aspiranti premier ai fornelli. Maroni Bobo a preparare la “cassoeula” e Vendola Nick “orecchiette strascinete e impepata di cozze”. Roba forte! L’auditel si sarebbe impennato.

La televisione, dunque, che mai come in queste elezioni, è stato il luogo (o il non luogo) dal quale i contendenti hanno lanciato i loro programmi e il loro storico verbo per salvare la nostra povera Italia. Ma lo spettatore più smaliziato assistendo a questi comizi catodici, molti dei quali, senza contraddittorio, spesso ha cambiato canale, oppure, di fronte a tanta bulimia verbale, si è rifugiato su Internet. I nuovi media hanno reso la gente più consapevole e meno disposta a farsi abbindolare. Non conta l’immagine di un politico, contano le idee che esso esprime. Conta, e come, anche la capacità dello spettatore/elettore, di distinguere il virtuale dal reale, il vero dal falso. Nella società dell’apparire, spesso l’immagine ha il predominio sulla parola. “Tutto ciò porta a un’atrofizzazione intellettuale”, dice il giornalista scrittore della Rai Andrea Riscassi, autore dei libri “La rivoluzione arancione trionferà” (dove racconta le lotte liberali nell’est europeo, “Anna è viva” (la storia di Anna Politkovskaja, la giornalista russa assassinata dai servizi segreti russi) e il recente “Anticorpi alla videocrazia”. L’autore, che è anche docente di Teorie e tecniche della comunicazione radio-televisiva alla Statale di Milano e alla Scuola di giornalismo Walter Tobagi, in questo saggio sullo strapotere della televisione cerca di dare alcune risposte alle tante domande che gli pongono quotidianamente i suoi studenti. “L’obiettivo del volume, afferma l’autore, è quello di sensibilizzare e creare giornalisti, ma anche telespettatori coscienti, che sappiano leggere (citato testualmente ndr) dietro le quinte di quello che vedono e capire il messaggio che spesso lo spettatore subisce, ma che a volte non è in grado di interpretare”. “Mai come in questa campagna elettorale la televisione ha mandato e continua a dare messaggi che possono orientare e disorientare”. Il cancelliere prussiano Otto Von Bismarck diceva “Che non si mente mai così tanto come prima delle elezioni”. Politici bugiardi, dunque.” Quindi, sempre per citare il saggio di Riscassi, “chi segue la campagna elettorale in tv deve ricordarsi che la televisione ha la memoria corta: se un politico dice delle falsità la settimana prima, quella successiva è già tutto dimenticato”. “Forse è per questo che la televisione piace tanto ai politici”. A mio modesto parere il saggio di Riscassi sulla videocrazia dovrebbe essere materia obbligatoria in tutte le scuole della Repubblica. Sono sicuro che aiuterebbe gli studenti a essere più critici sul messaggio televisivo che dà la politica, e non solo. Pier Paolo Pasolini, nel lontano 1975, in uno dei suoi “Scritti Corsari” propose esplicitamente l’abolizione della tv. Quella televisione, scriveva il poeta e regista friulano, non era insegnamento ma modello diseducativo piccolo borghese che omologava negativamente le masse”. Chissà cosa scriverebbe oggi Pasolini sulla televisione del terzo millennio.

Recentemente, il presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco, ha esortato gli elettori -non soltanto quelli cattolici- a recarsi alle urne e vigilare sui “populismi” di molti leader, senza distinzione di schieramenti, e fare attenzione a “non negoziare principi che, soprattutto per un cattolico, non sono valori negoziabili”. “La politica deve cessare di essere “una via per l’arricchimento personale”, ha tuonato monsignor Bagnasco. “Il nostro paese è stanco di demagoghi populisti. Chi governerà deve adottare un progetto comune che tuteli i più deboli” e non coltivare i vizi storici di una classe dirigente che gli Italiani vogliono mettersi alle spalle”. Parole di cardinale!

Alle urne, dunque, e buon voto.

Alé!

Sergio Calabrese