La tesi di Fiorenzo Ebbene, in discussione in questi giorni alla Statale di Milano, si occupa di un momento centrale nelle recente storia umana: la scomparsa dell’Unione sovietica (e del PCUS che l’ha guidata nei suoi 70 anni di vita).
Essendo una tesi (magistrale) in comunicazione, il punto d’osservazione è mediatico ed è davvero particolare: gli avvenimenti di quei clamorosi anni visti attraverso le lettere dei lettori ad alcuni quotidiani. Gli anni gorbacioviani (malgrado il persistente odio della stragrande maggioranza dei russi per l’inventore di glasnost e perestrojka) sono considerati – dalla compianta e tanto rimpianta Anna Politkovskaja – gli unici anni di stampa libera da quelle parti.
E le lettere, molte delle quali critiche, altre preoccupate, tante indignate, sono lì a dimostrarlo.
Ad maiora
Pcus
ELENA BONNER, L’EDUCAZIONE DI UNA DISSIDENTE
Quando nell’epilogo del volume Elena Bonner racconta di aver scambiato la madre che bussa alla porta di ritorno da otto anni di gulag, per una mendicante – “un errore che mi pesa ancora”- si capisce fino in fondo il titolo della sua autobiografia “Madri e figlie” (Spirali).
L’analisi
“Non c’era espediente da parte mia che potesse impedire alla mamma di pensare al passato, così come è impossibile evitare il senso di colpa di fronte ai morti, anche per il solo fatto che loro non ci sono più, mentre noi viviamo. La mamma aveva un senso di colpa nei confronti della nonna, perché il suo destino si era ripercosso su di lei. Io ne ho nei confronti della mamma per il destino che è toccato a me e per la mia felicità”.
Non so se Tatiana, figlia di Elena che qualche anno fa con Gariwo e Annaviva ospitammo per un convegno milanese, si senta anch’essa in colpa.
Elena Bonner ci ha infatti lasciato lo scorso giugno. La dissidente, moglie del dissidente Andrei Sakharov, con lui confinata a Gor’kij (riabilitati solo da Gorbaciov nel 1986) ha lottato fino alla fine dei suoi giorni anche contro il regime putiniano.
Nel bel libro di ricordi non c’è la storia della Bonner adulta, ma di lei bambina, figlia di due esponenti del partito, lui assassinato nel Terrore staliniano, lei mandata in campo di concentramento come “traditore della patria” (i loro rapporti, alla fine della detenzione non saranno mai più sereni). Elena era diventata, come tanti una “strana orfana”.
Nel volume ci sono anche riflessioni su eventi successivi a quelli della “formazione di una dissidente”. Una delle quali ci riguarda da vicino: “Quaranta anni dopo partecipai a una riunione di giovani a Milano. Parlai dello stato terribile della medicina sovietica, della crescita della mortalità infantile, della mancanza di farmaci indispensabili. Dissi che da noi non si producevano nemmeno biberon né tettarelle moderne per alimentare i bambini. Dalla sala qualcuno cominciò a gridare dandomi della fascista e della malevola calunniatrice e invitandomi a incontrare i comunisti, ben informati sulla bontà e gratuità della medicina in Unione sovietica”.
I tempi sono cambiati. O no?
La Bonner racconta con gli occhi di una bambina (la cui infanzia finisce con l’arresto dei genitori) la strage di comunisti compiuta dall’Urss staliniana nel 1937, con le case di chi veniva arrestato (e spesso fucilato) che avevano le porte chiuse da un sigillo rosso, che indicava le case dei “traditori della patria”, parola che per la Bonner andrebbe – giustamente – scritta minuscolo.
Quando il padre sarà arrestato (e fucilato, poi riabilitato alla fine dello stalinismo perché “il fatto non sussiste”) il fratello minore di Elena, educato come tutti alla scuola del Pcus e del Komsomol commenta: “Pensa un po’ che razza di nemici del popolo esistono: si intrufolano persino tra i papà”.
L’esplosione di rabbia della giovane Bonner è la stessa che prende chi legge.
Addio Elena, che la terra di sia leggera.
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Elena Bonner
Madri e figlie
Spirali
Milano, 2003
Pagg. 480
Euro 30

Falce e sberleffo, barzellette in salsa sovietica
Un libro che ho acquistato per caso e che non mi ha convinto fino in fondo, ma le cui barzellette mi hanno spesso fatto piegare dalle risate. Mi riferisco a “Falce e sberleffo” di Ben Lewis, pubblicato in Italia da Piemme. È un racconto del mondo sovietico attraverso l’umorismo che ha sempre caratterizzato quelle aree. Il giornalista inglese ha raccolto migliaia di barzellette per capire se queste abbiano contribuito a far crollare il Muro e ammainare la bandiera rossa sul Cremlino.
Sostiene Lewis che «la repressione nei confronti dei barzellettieri era un aspetto fondamentale del terrore stalinista: in un certo senso si potrebbe dire che a spazzar via il comunismo furono le risate».
Proprio questa analisi sembra un po’ di maniera. Come filo conduttore a questa serie di bellissimi scenette umoriste, si sarebbe potuto trovare altro. Anche se l’assunto da cui parte il libro è una frase di Karl Marx condivisibile (e applicabile anche ad altri regimi…): «La fase finale di un sistema politico è la commedia».
E l’altra base ideologica da cui parte il volume è di George Orwell: «Ogni barzelletta e’ una piccola rivoluzione. Se doveste definire l’umorismo con una sola frase, potreste definirlo un dignitario in bilico su un chiodo stagnato. Qualsiasi cosa distrugga la dignità e abbatta i potenti dai loro piedistalli, preferibilmente con un tonfo, e’ divertente. Quanto più grande e’ la caduta, tanto più divertente e’ la barzelletta. Meglio gettare una torta in faccia a un vescovo che a un semplice curato». Ma, conclude l’autore, queste freddure, segnalavano anche una sorte di amore verso il regime (è quanto sostiene in un libro simile, ma molto più stimolante, Moni Ovadia): «Le barzellette venivano raccontate anche da persone che avevano simpatia nei confronti del comunismo, che ne avevano una visione romantica. E forse proprio da questo le barzellette derivavano la loro tragicità: il pathos insito in ogni grande opera d’arte. Dietro il disprezzo, la frustrazione e la paura c’era una sorta di attrazione e di perdono. Insomma, pur essendosi mostrato spaventoso nella sua realizzazione pratica, il comunismo aveva ideali e fini che non avevano mai perso il loro fascino».
Le barzellette di questa raccolta hanno la particolarità di non limitarsi alla Russia. Queste sono ad esempio romene: «Sapete perché Ceausescu organizza un raduno di massa il primo maggio? Per vedere in quanti sono sopravvissuti all’inverno »; «Sai quando sono state gettate le basi dell’economia romena? Bisogna risalire ai tempi biblici… non appena fu posto sulla croce, a Gesù fu chiesto di allargare le braccia perché ciascuna mano potesse essere inchiodata. Poi però gli dissero: per favore, incrocia i piedi, perché ci è rimasto un solo chiodo»; « Una vecchia ha l’abitudine di correre ogni mattina dal giornalaio per acquistare la prima copia di “Scinteia”, il quotidiano romeno. Lo compra, dà uno sguardo ai titoli della prima pagina, lo appallottola con disgusto e lo calpesta. Fa così tutti i giorni. Infine il giornalaio non riesce più a trattenere la propria curiosità. “Se non vuole leggere il giornale, perché corri ogni mattina ad acquistarlo? I giornali costano”: “Voglio vedere se c’è un annuncio funebre” spiega la vecchia. “Credo bene che non lo trovi, beata donna!” esclama il giornalaio: “Non sai che gli annunci funebri sono pubblicati nell’ultima pagina?”. “Non l’annuncio in cui spero io,” ribatte la vecchia “quello sarebbe pubblicato in prima pagina!” »; «In pieno inverno un uomo sta camminando in una strada di Bucarest. A un tratto si avvicina a una finestra aperta e grida: “Non potete chiudere la finestra? Qui si gela!”»;
« Sapete perché la Romania sopravvivrà alla fine del mondo? Perché è cinquant’anni indietro rispetto a tutti gli altri paesi».
Molto acide anche quelle polacche: «”Ho saputo che vai in chiesa tutti i giorni”, osserva il segretario (di una sezione agraria partito comunista polacco). “Sì, è vero” risponde il contadino “lo faccio fin da quando ero bambino”. “Mi è stato anche detto” continua il segretario “che ti inginocchi davanti alla croce e baci i piedi di Gesù”. “Verissimo, fa parte del rituale cattolico”. “Ma tu sei membro del partito. Baceresti i piedi del capo del nostro partito?” “Certamente… se fossero inchiodati a una croce!”».
Queste invece quelle più esemplificative sul terribile regime della DDR: «Perché nella Germania Est le elezioni duravano sempre due giorni? Perché così ogni cittadino poteva decidere di testa propria se voleva votare di venerdì o di sabato» (forse vale lo stesso anche per l’Italia, unico paese europeo dove si vota due giorni…); «Due guardie pattugliano il Muro. Una dice all’altra. “stai pensando quello che penso io? Beh, allora devo spararti.»; «Walter Ulbricht, il primo leader comunista della Germania Est è al ristorante. Una delle cameriere che lo servono gli fa il filo. Ulbricht va in brodo di giuggiole ed esclama: “Sarei lieto di soddisfare un suo desiderio”. La ragazza ci pensa un attimo e dice: “Allora apra il Muro, anche solo per un giorno”. Con una strizzatina d’occhi, Ulbricht ribatte: “Ho capito: lei vorrebbe restare sola con me!”».
Le barzellette sovietiche prendono in giro la propaganda di regime e nel mirino c’è soprattutto il peggior dittatore, il più terribile segretario del Pcus: «Stalin è morto ed è incerto sul fa farsi. Insomma, non sa se sia preferibile andare in paradiso o all’inferno. Chiede dunque che gli si facciano visitare entrambi. In paradiso vede persone immerse nella meditazione e nella preghiera; all’inferno c’è invece gente che mangia, beve, balla e se la spassa. Stalin scegli l’inferno. Attraverso un labirinto di corridoi viene condotto in un’area in cui abbondano calderoni pieni di olio bollente. Prontamente i diavoli lo afferrano e lo gettano in uno di essi. Stalin protesta, affrettandosi a far loro notare come poco prima gli fosse stato mostrato un luogo in cui la gente se la passava bene. “Oh, quella era solo propaganda”, ribatte il diavolo». Barzellette come questa, pronunciate o anche solo ascoltate senza denunciarle, potevano costare anni di gulag.
Altre invece rendono bene il clima di delirio nel quale viveva l’Urss in quegli anni. «Per la prima volta in vita sua, una vecchia contadina, in visita allo zoo di Mosca, vede un cammello. “Oh, Dio mio!” grida inorridita. “Guarda cosa hanno fatto i bolscevichi a quel povero cavallo”»; «Un ispettore entra in una fabbrica per un’ispezione. “Tu che cosa fai?” “Niente”, risponde questi. Allora va da un altro: “E tu, che cosa fai?” “Niente” risponde questi. Nel rapporto scrive: “Il secondo può essere licenziato, e’ un’inutile doppione”»; « Qual e’ la definizione di capitalismo? Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E del comunismo? L’esatto contrario».
Una delle barzellette che mi hanno più divertito, pur animalista, è questa: «Il marxismo-leninismo è una scienza? No, se lo fosse sarebbe prima stata testata sugli animali». Ma ho trovato molto gustosa anche questa che richiama un po’ Il Maestro e Margherita: «Brezhnev fa visita a Nixon. Vede un telefono rosso sulla scrivania del presidente americano e gli domanda a cosa serva. “Oh, con quel telefono posso chiamare il diavolo in persona” risponde Nixon. Brezhnev gli chiede di dimostrarglielo. Nixon ordina a uno dei suoi collaboratori di fare numero. Non appena il diavolo risponde, il collaboratore passa il telefono al presidente americano che chiacchiera con Belzebù per un quarto d’ora. Brezhnev è allibito. Terminata la chiacchierata, Nixon riattacca. Subito entra il suo segretario che dichiara: “Signor Presidente, poiché la sua conversazione è durata quindici minuti, il contribuente americano dovrà sborsare 1.500 dollari”. Brezhnev torna a Mosca. Come prima cosa dice ai suoi collaboratori: “Voglio parlare con il diavolo. Se può farlo il presidente americano, deve poterlo fare anche quello sovietico”. Il collaboratore fa il numero e non appena il diavolo risponde passa la cornetta a Brezhnev, che parla per circa quindici minuti. Poi riattacca e, rivolgendosi al segretario, chiede: “Quanto può essere costata la telefonata?”. “Beh, direi due copeki” è la risposta. Brezhnev è sbalordito. “Cosa? Due copeki? Vorresti dire cinque centesimi? Com’è possibile? Il presidente americano ha pagato 1.500 dollari e noi paghiamo cinque centesimi?”. E il segretario: “Compagno Leonid, devi capire che, quando chiami il diavolo da Mosca, è una telefonata urbana. Quando invece gli telefoni da Washington è un’intercontinentale”».
Sulla morte dei leader sovietici i barzellettieri si sono sempre scatenati. Questa, ad esempio, gustosissima, su Brezhnev e Kruscev: «Brezhnev è morto. Non appena bussa alla porta dell’inferno viene accolto da un diavolo che gli dice: “Compagno Leonid, tu sei una comunista illustre, un uomo molto importante. Pertanto hai la possibilità di scegliere la tortura a cui sarai sottoposto”. Addentrandosi nei meandri dell’inferno, Brezhnev vede Adolf Hitler immerso in una vasca piena di olio bollente e Stalin legato alla ruota. Improvvisamente scorge Nikita Kuscev con Brigitte Bardot sulle ginocchia. “Benissimo,” esclama allegramente “voglio la stessa tortura di Kruscev!” “Oh, no! Non è possibile” ribatte il diavolo. “Non è Kruscev a essere torturato, è la Bardot!”».
Molte sono le barzellette di carattere mistico, che segnalano la vita (che si immaginava) eterna del regime sovietico: « Nixon, Pompidou e Brezhnev incontrano Dio. Il Padreterno dice loro che possono rivolgergli una domanda ciascuno. “Quando avverrà che gli americani avranno tutto?” chiede Nixon. . Dio risponde: “Tra cinque anni”. “Purtroppo non nell’arco del mio mandato” esclama Nixon scuotendo la testa. “Quando avverrà che i francesi diventeranno ricchi?” chiede Pompidou. Dio risponde: “Tra quindici anni”. “Purtroppo non nell’arco del mio mandato” esclama il presidente francese. “Quando avverrà che in Unione Sovietica le cose andranno bene?” chiede Brezhnev. Dio risponde: “Purtroppo non nell’arco del mio mandato”».
Concludo con due. La prima, recente, sull’ex tenente colonnello del Kgb, che ora guida la Belij Dom di Mosca: «Hai sentito l’ultima sul piano economico di Putin? Obiettivo: rendere la gente ricca e felice. Allegato l’elenco delle persone».
L’altra un po’ più vecchia che segnala come la cattiva nomea dei ceceni risalga alla notte dei tempi: «Un ceceno sta pescando. A un tratto ecco comparire per magia il solito pesciolino d’oro che, come sempre avviene nelle favole, offre al pescatore di soddisfare tre desideri. Il ceceno però non sa cosa chiedere. “non riesco a farmi venire in mente nulla, non potresti darmi un suggerimento?”. “Beh”, risponde il pesciolino “poco fa sono stato pescato da un ucraino che mi ha chiesto di procurargli un’enorme cassa piena d’oro, di gioielli e di dollari”. Al che il ceceno dice: “Ci sono: dammi l’indirizzo dell’ucraino”».
Insomma, un libro che va bene se questa estate volete farvi due risate sotto l’ombrellone.
Ben Lewis
Falce e sberleffo
Una storia del comunismo attraverso la satira
Piemme
Milano, 2009
Pagine 475
Traduzione: Franca Genta Bonelli
Euro 19

La democrazia arancione (di Matteo Cazzulani)
Chi come me ha il privilegio di fare il giornalista dà una valutazione dei paesi dove è mandato a seguire gli avvenimenti anche in base a sensazioni personali. È forse un modo superficiale di agire, di capire quel che accade. Perché in base a quelle valutazioni, di pelle, impostiamo poi i nostri reportage, i nostri racconti.
Personalmente mi affido alle sensazioni, alla percezione che ho della mia stessa libertà di azione. A Kiev da molti anni ho l’impressione di essere in un paese libero. A Mosca e a Minsk no. In queste capitali ex sovietiche si ha ancora la sensazione di essere in libertà non perché sia un tuo diritto, ma perché le autorità non hanno deciso il contrario.
In una delle notti elettorali me ne stavo tornando tranquillamente al mio appartamento. Attraversavo in solitaria il Majdan, la piazza della Rivoluzione arancione (dei cui valori questo libro è intriso). Alle orecchie la musica dell’immancabile Iphone. Guanti e cappello per la temperatura abbondantemente sotto lo zero. Qualcuno mi picchietta sulla spalla e sobbalzo perché Lady Gaga a tutto volume mi stava isolando dall’ovattata notte di Kiev. Era un poliziotto che mi chiedeva i documenti. Giovanissimo, aria burbera. Si accontentava di sfogliare velocemente il mio passaporto prima di farmi proseguire il cammino. Di fronte alla dichiarazione che ero un giornalista, aveva abbassato le difese. In altri luoghi mi sarei ben guardato da raccontare la mia professione. In Ucraina invece non percepisco questo pericolo. Qui, come racconta a più riprese Matteo Cazzulani in questa interessante analisi di storia ucraina (ed europea) i giornalisti di opposizione, nel recente passato, sono stati decapitati. E non in senso metaforico.
Eppure ora il clima è cambiato. Chiunque vinca le elezioni. La rivoluzione arancione, che i tromboni di tutta la vecchia Europa, danno per sconfitta, ha portato un vento di libertà che al momento non sembra possibile fermare. Certo, quella piazza che attraversavo la sera del voto era desolatamente vuota. La gente che cinque anni fa la riempiva è rimasta a casa a guardarsi i risultati. Il disincanto verso la politica è stato fortissimo in questo bellissimo paese nel quale, nel 2004, un milione di persone è sceso in piazza per dire sì alla democrazia e no ai brogli, alla corruzione, al potere di pochi. La marea arancione ha portato la democrazia, l’alternanza al governo. Ma non ha cambiato l’oligarchia del paese, che rimane drammaticamente nelle mani di un nucleo ristretto di potenti.
I leader politici della rivoluzione hanno fallito. Non sono stati capaci di governare assieme. Hanno consegnato il paese ai filorussi che avevano sconfitto, in piazza e nelle urne, cinque anni prima. Il perché lo spiega Cazzulani, esperto e appassionato come me di questo mondo che si trova oltre il Muro di Schengen. Gli ucraini si sentono europei, anzi, sono europei. Eppure a Bruxelles nessuno li considera come tali. Qualche giorno fa ho sentito con le mie orecchie l’ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi, ipotizzare un futuro ingresso della Russia nell’Unione europea, escludendo invece una possibile adesione ucraina. Misteri della politica fatta coi gasdotti anziché col cuore.
L’Europa ha chiuso la porta in faccia a Kiev. Mentre Mosca è riuscita a far tornare questa nazione sorella (gli amici, recitava una vecchia barzelletta sovietica si scelgono, i fratelli no) nella sua area di influenza. Lo ha fatto col ricatto energetico. Ricatto del quale noi europei siamo stati non solo partecipi, ma addirittura complici. Germania e Italia hanno lavorato fianco a fianco con la Russia per togliere di mezzo gli ucraini, mettendo le basi per futuri gasdotti: così nel futuro non passerà più sul territorio ucraino il flusso di gas diretto alle nostre case. La colpa di Kiev? Non accettare che il prezzo del gas russo lievitasse in base alla sua scelta di campo occidentale. Ma nell’Europa ufficiale (dove si decantano le radici cristiane del continente) nessuno vuole questi ucraini che pure della storia del Vecchio Continente hanno cercato di far parte, malgrado Zar e Pcus.
Cazzulani in questo libro spiega bene questi anni tormentati della politica ucraina. L’instabilità che leggerete è dettata anche dal fatto che questa è una terra di confine tra due mondi contrapposti. Vi potrà sembrare complicata. Ma è sicuramente più interessante e più libera che la politica russa, dove è tornato de facto il monopartitismo.
Chiudo queste mie poche riflessioni introduttive con un altro racconto personale, questa volta ambientato a Mosca. Manifestazione non autorizzata dell’opposizione per rivendicare l’applicazione dell’articolo 31 della Costituzione russa che dovrebbe tutelare il diritto a riunirsi e manifestare liberamente il proprio pensiero. In piazza Triumphalnaja arriva Lyudmilla Alaxeyeva,dissidente 82 enne (che di lì a poco avrebbe ricevuto il premio Sakharov del parlamento europeo e sarebbe stata arrestata nel corso di un altro presidio vietato). Mi avvicino. Un collega russo mi fa presente che non posso intervistarla senza un apposito tesserino di riconoscimento. Indietreggio. Si avvicina un altro giornalista. Nego a questo punto di essere un collega e mi spaccio per turista italiano. Mi invita allora a spostarmi perché sta per succedere qualcosa. Due uomini sollevano un missile di cartone col quale invitano tutti a lottare per la libertà di espressione. Tempo due sono circondati dalle forze speciali, caricati ed arrestati. Insieme a loro, assisto al fermo di altri ragazzi che semplicemente cantano o esprimono il loro pensiero innalzando cartelli.
Torno in albergo, contento di essere libero. Accendo la tv. Guardo il principale tg, Prviy Canal. Degli arresti non si parla. Della manifestazione non autorizzata e repressa dagli Omon nemmeno. Chi non era fisicamente presente non sa che cosa sia successo. L’opposizione è cancellata. Resa invisibile.
Per questo continuo a sognare che un giorno sventoli, anche solo per breve tempo, qualche bandiera arancione sulla Piazza Rossa.
Ad maiora