Il Fatto quotidiano

#CiaoMonti Le pagelle dei giornali (a confronto)

governo-montiIn realtà, ho trovato solo il Fatto quotidiano e Il Sole 24ore che si cimentano nell’impresa di dare i voti all’esecutivo che da ieri sera resta in carica solo per la straordinaria amministrazione.

Mettiamo a confronto e sommiamo le pagelle (aggiungendo il giudizio).

Elsa Fornero: bocciata

5 per il Fatto e 5 per il Sole

Giulio Terzi di Sant’Agata: bocciato

5 sia per il Fatto che per il Sole

Lorenzo Ornaghi: bocciatissimo

4 per il Fatto (“Un fantasma alla Cultura) solo mezzo punto in più per il Sole

Mario Catania: rimandato

5 per il Fatto 6 per il Sole (era alle Politiche agricole, se a qualcuno è sfuggito)

Giampaolo di Paola: promosso

5 per il Fatto 7 per il Sole (gli F35 muovono il Pil, si sa)

Filippo Patroni Griffi: promosso

6 per entrambi i quotidiani

Vittorio Grilli: rimandato

5 per il Fatto, 6 per il Sole

Corrado Clini: rimandato

4 per il Fatto, 6,5 per il Sole

Fabrizio Barca: super promosso

7 per il Fatto e mezzo punto in più per il Sole

Paola Severino: promossa

5 dal Fatto, 7 dal Sole

Anna Maria Cancellieri: super-promossa

7 sia dal Fatto che dal Sole

Corrado Passera: bocciato

5 dal Fatto, solo mezzo punto in più dal Sole (e questo mi sa che gli fa più male)

Renato Balduzzi: promosso

7 dal Fatto, 5 dal Sole

Piero Gnudi: bocciato

4 dal Fatto, 6 dal Sole (era al Turismo, se qualcuno non se ne fosse accorto)

Enzo Moavero Milanesi: super-promosso

7 sia per il Fatto che per il Sole per il ministro per gli Affari europei

Francesco Profumo: rimandato

6 dal Fatto, 5,5 dal Sole (voto pesante)

Andrea Riccardi: rimandato

5 dal Fatto (voto pesante), 6 dal Sole

Piero Giarda: promosso

5 dal Fatto, 6,5 dal Sole

Mario Monti: promosso

6 dal Fatto, il Sole fa il gioco delle tre carte e mette vari voti (che lo fanno comunque prouovere): Credibilità internazionale 8, Conti pubblici 7, Crescita e occupazione: 5

Quali sono invece i voti che date voi ai ministri?

Ad maiora

Fenomenologia di Antonio Di Pietro

Un libro contro Di Pietro. A scriverlo un vecchio liberale come Pierfranco Pellizzetti che nella sua fenomenologia se la prende con quello che ritiene un «sottoprodotto del berlusconismo: il dipietrismo».

Nel volume (edito da manifestolibri), Pellizzetti paragona più volte Silvio e Tonino, che definisce «due egotisti a livello ultra patologico», «miracolati della Seconda Repubblica» che sono «espressione della stessa mentalità di destra». E critica allo stesso modo le formazioni della liste elettorali del Pdl e dell’Idv, dalla Minetti a Scilipoti, coniugandolo a un oggi che un libro a differenza di un blog non può permettersi di avere.

Pellizzetti non risparmia nessuno del partito di Di Pietro, nemmeno De Magistris, che «ha dilapidato il proprio tesoretto di credibilità, quasi un Mariotto Segni in sedicesimi».

L’analisi è a tratti più sociologica che politica (e nella parte politica centrale risulta un po’ noiosa e ridondante): «Pasquale Villari scriveva nel 1983 che nel nucleo profondo della cultura contadina “si sente troppo lo Io e troppo poco il Noi”. Lo ribadiva ancora qualche anno fa il sociologo urbano Robert D. Putnam, riportando a nuovo l’antica profezia di Villari: “Non avete più scampo: o voi riuscite a rendere noi civili, o noi riusciremo a rendere barbari voi”. Analisi antiche e recenti sui retaggi del passato che descrivono perfettamente il mood del nostro Paese quale appare oggi, berlusconiano e leghista. In qualche misura dipietrista».

Il fenomeno Di Pietro – conclude Pellizzetti che collabora col Fatto e con Micromega e che nel volume esprime simpatia col popolo viola – «suona a conferma dell’incapacità del nostro sistema democratico, della società italiana, di produrre autonomamente anticorpi civili: la democrazia come discorso pubblico, come progetto inclusivo per la liberazione dai rapporti di dominio».

Anche io penso (e lo dissi a un amico che si candidò, sfiorando l’elezione, alle Europee per l’Idv) sia più il termometro della crisi repubblicana che la risoluzione. Dal mio piccolo osservatorio di dipendente della televisione del servizio pubblico, mi limito a osservare che dalle mie parti non ho mai sentito dire “quello l’ha raccomandato Di Pietro”. Né, quando ho realizzato servizi su di loro, ho avuto la canea di telefonate di sollecitazione e precisazione che accompagnano invece l’attività politica delle schiere che hanno conquistato maggioranza e opposizione negli ultimi 16 anni di berlusconismo e antiberlusconismo. Per quanto mi riguarda, non è poco.

Ad maiora.

Fenomenologia di Antonio di Pietro

Pierfranco Pellizzetti

Manifestolibri

Roma, 2010

Pagg. 159

Euro: 18

Tra Montanelli, Ecce Homo e Cattelan, i giovani di Fli contro Il Giornale

Un piccolo ma nutrito presidio di giovani di Fli sotto la sede del Giornale. Fatto allontanare dalla Digos perché bloccava il traffico (in via Negri, dietro Cordusio sono passate però solo due macchine). I giovani di Generazione Italia lasciano momentaneamente il congresso di Fli e vanno a protestare contro quella che chiamano “macchina del fango”.

Portano uno striscione che srotolano dapprima davanti agli uffici del quotidiano fondato dal grande giornalista toscano, poi di fronte alla Borsa (e al mitico dito medio di Cattelan).

“Il sapere e la ragione parlano, l’ignoranza e il torto urlano” recita la frase montanelliana, che in realtà citava Arturo Graf poeta noto per gli aforismi raccolti nel suo Ecce Homo (1908).

Gianmario Mariniello, coordinatore di Generazione Giovani, dice che questo flash mob è un modo per far sentire ai dirigenti del Giornale (querelato da Bocchino per stalking) che quel giornale non piace a questi militanti di destra non berlusconiani.

A Bastia Umbra alcuni di Fli furono fotografati mentre leggevano il Fatto quotidiano. In questi due giorni di congresso ho visto invece soprattutto gente col Secolo della Perina (direttrice sempre presente in sala stampa, da mattina a sera).

Ad maiora.

Giornalisti, astronauti e inchieste via internet

E’ difficile che chi fa il mestiere del giornalista si fermi a riflettere su come stia cambiando la professione. Spesso questi dibattiti sono appannaggio dei sindacalisti di categoria.

Oggi invece all’Università statale di Milano (Scienze politiche, per la precisione, corso di Storia del giornalismo della professoressa Ada Gigli Marchetti) il confronto è stato fra colleghi che materialmente realizzano pezzi, inchieste e reportage.

Ha iniziato Giannino della Frattina del Giornale che ha spiegato che i giornalisti in questi anni sono come astronauti poco preparati. I mutamenti sono così veloci che si fa fatica a governarli. Della Frattina (che è anche membro del Cdr) ha inserito in queste veloci novità anche l’inaspettato successo del Fatto quotidiano, ricordando come ormai siano passati i tempi in cui la foliazione del Corriere (non a caso chiamato Corrierone) arrivava anche a 80 pagine.

Tra le cause del cambiamento nella professione va annoverato l’aumento del prezzo della carta e la contrazione della pubblicità. Ma resta il fatto che sono sempre meno i lettori che acquistano un quotidiano (mancato il mitico tetto delle 7 milioni di copie, malgrado la free press).

Della Frattina ha ricordato come, in base alla Costituzione, c’è il diritto a informare ma anche e soprattutto a essere informati. Di qui la necessità di incrementare il numero di inchieste.

Già proprio la “scomparsa delle inchieste” era il tema intorno al quale abbiamo voluto chiamare i colleghi a riflettere. Nell’era twitter c’è ancora spazio per questa forma di giornalismo?

Per Gianni Barbacetto del Fatto quotidiano la risposta è affermativa anche se l’inchiesta non gode di buona salute. Politica ed economia non vedono di buon occhio chi vuole andare a vedere se le cose che ci vengono raccontate siano vere.

Per questo, a giudizio di Barbacetto, la rivoluzione internet può aiutare  – e molto – questa forma di indagine giornalistica. Occorre però guardarsi dalle bufale che girano sulla rete e, come un gioco di specchi, vivono di rimandi.

L’inchiesta è comunque complessa anche per i costi. Sono sempre di meno i quotidiani che mandano all’estero gli inviati. Per evitare la cosiddetta deskizzazione la soluzione potrebbe essere quella di alcuni siti informativi americani. Che chiedono ai loro lettori quali inchieste vorrebbero leggere e se sono disposti a investire qualche soldo per finanziarle. E’ un modo con cui, chi esce dalle scuole di giornalismo, può iniziare a lavorare.

Andrea Nicastro, inviato del Corriere della sera, ha invece mostrato agli studenti universitari come sia cambiando il lavoro (multimediale) dei giornalisti. Alla prima Guerra del Golfo (a parte chi era dietro il tavolo, gli altri erano troppo giovani per ricordare), Peter Arnett rivoluzionò la scena televisiva con dirette dall’Iraq. Il macchinario con cui trasmetteva pesava due tonnellate.

Nicastro ha mostrato le immagini che lui stesso ha realizzato nel buco dove di nascondeva Saddam. Girate con una piccola telecamera e inviate con un piccolo satellitare al corriere.it. Prime immagini dato che le telecamere dei broadcast non erano in grado di riprendere al buio, nel tugurio iracheno.

Sempre con tecnologia super-leggera Nicastro ha mandato “in onda” le immagini delle cariche di poliziotti in moto contro gli studenti iraniani (che salvarono poi dal linciaggio gli stessi agenti catturati dalla folla). Sequenze che, dal sito del Corriere, girarono per tutto il mondo, spacciate – dagli utenti – più come riprese di un passante che di un collega. Come se questo elemento potesse accreditare maggiormente la testimonianza.

E infine pochi mesi fa, l’inviato del Corriere è stato mandato nel Caucaso per fare un reportage che era sia per il cartaceo che per il sito. In questo ultimo contesto, si sta cercando di far capire come realizzare il quotidiano del futuro.

Quello che ragionevolmente soglieremo sull’ipad, iphone o pc.

Ad maiora.