Gad Lerner

RIPRENDIAMOCI IL CAMPO, SABATO A MILANO

Riceviamo e volentieri pubblichiamo notizie relative alla manifestazione organizzata per sabato pomeriggio a Milano, promossa da decine di personalità della società civile.

L’elenco dei firmatari lo potete trovare a questo indirizzo:

http://www.riprendiamociilcampo.it/

Su Facebook potete anche sottoscrivere l’appello:

http://www.facebook.com/event.php?eid=130857447020310

Gli organizzatori hanno realizzato alcune video interviste che potete vedere qui sotto.

Ad maiora.

……………..

Di seguito tre brevi videointerviste di adesione alla manifestazione indetta per sabato prossimo a Milano da un cartello di personalità del mondo della cultura, del lavoro, dell’informazione e della società civile.

Si tratta delle voci del Sindaco di Milano Giuliano Pisapia, del giornalista Gad Lerner e e della presidente dell’associazione di donne Usciamo dal silenzio Assunta Sarlo, che fa parte del comitato milanese Se non ora quando?

 http://www.youtube.com/watch?v=PknQ39kgNwU   video Gad Lerner

 http://www.youtube.com/watch?v=Wtanv5iEhXs      video Assunta Sarlo

 http://www.youtube.com/watch?v=9fYBEpO1o_Q   video Giuliano Pisapia.

MA QUANDO USCIREMO DAL POZZO DI VERMICINO?

Tornare nel pozzo di Vermicino a trent’anni di distanza dalla morte di Alfredino Rampi è ancora un’esperienza con cui è ancora difficile rapportarsi. Soprattutto perché la sua mediatizzazione spinse tutto il paese dentro quel cunicolo dal quale quel ragazzino – malgrado una serie di disperati (e a volte maldestri) tentativi – ne uscì solo cadavere.

Nei corsi di giornalismo televisivo, parlo di Vermicino come l’11 settembre della nostra televisione: c’è un prima e un dopo.

Inevitabile è stato, da quest’anno, inserire “L’inizio del buio” (Rizzoli) di Walter Veltroni tra i volumi da leggere per capire la realtà televisiva del nostro scalcagnato paese.

Veltroni nel toccante volume racconta due storie parallele: quella di Vermicino e quella dell’infame sequestro di Roberto Peci, rapito e ucciso dalle Brigate rosse (anzi, dalla «Salò delle Br») dopo 53 giorni di sequestro. La sua unica colpa, essere il fratello di un pentito. Il “processo popolare” contro il ragazzo (che a venticinque anni faceva l’antennista, era sposato e in attesa di una figlia che non avrebbe mai visto nascere) fu – per volontà di uno degli ultimi leader brigatisti Giovanni Senzani – ripreso da una telecamera amatoriale. La condanna a morte di Roberto fu filmata e, come molti interogatori, ora la si trova in rete:

http://youtu.be/77mR1K7UOtY

Nel volume si spiega l’impatto morale che ebbe sul paese soprattutto il caso di Vermicino, che uscì da quella vicenda – dopo il terremoto irpino – con un’altra cocente sconfitta. D’altronde, il rapimento di Peci (che a sua volta era finito in carcere per aver nel passato aiutato il fratello), così come i tentativi dei familiari e di pochi coraggiosi (i soliti radicali, ma anche alcuni intellettuali come Marco Boato, Gad Lerner, Adriano Sofri e Luigi Manconi) fu pressoché ignorato. La Repubblica Italiana che si mobilitò (tramite i servizi) per liberare (a suon di milioni e tramite i buoni uffici della camorra) l’assessore Cirillo, si disinteressò della sorte di quel suo cittadino, bollato come ex terrorista e assassinato a favore di camera. Di Roberto Peci, Veltroni nel ricordare che la prima telefonata di rivendicazione annuncia il sequestro del «fratello del pidocchioso Patrizio», scrive: «La definizione di “pidocchioso” è razzista e fascista». Quel processo farsa  – che Senzani decide di mediatizzare perché «si trova sempre un giornalista che pubblica se gli diamo qualcosa di ghiotto» – darà il la a tanti altri processi in tv.

Di Alfredino Rampi, Veltroni racconta la forza con cui resistette tre giorni dentro un buco, prima a 30 poi a quasi 60 metri dalla superficie, dal padre e dalla madre che – via microfono – ininterrottamente chiamò lungo la sua prigionia (trasmessa in diretta tv). Suoni che fa male sentire anche oggi:

http://youtu.be/xEONJh4i9ZI

Scrive l’ex segretario del Pd: «Lì è notte permanente. E dunque non si ha coscienza del tempo che passa. Un giorno infinito immerso in una notte infinita. Senza potersi muovere, incastrato in venticinque centimetri di pietra dura. Da impazzire. Se solo si è grandi e paurosi. Ma i bambini, si sa, sono i migliori esseri umani del mondo. E vanno incontro alla sofferenza con una capacità di resistenza superiore. Amano la vita, hanno voglia di viverla, non hanno nulla che li faccia sentire appagati. (…) Bisogna capire la complessità di un bambino per spiegarsi l’inspiegabile. (…) Alfredo era, come tutti i bambini, sapiente e innocente, tutto qui».

La “terribile macchina mediatica” che venne accesa per la morte di Alfredino («la trasmissione di informazione più vista nella storia della televisione») non si è più spenta. Sonnecchia, pronta ad allestire il circo, di fronte a nuovi drammatici casi di cronaca, da Cogne a Brembate. Dall’11 giugno 1981, spiega Veltroni non esiste più il “diritto allo strazio”, da allora la tv ha varcato l’ultima frontiera: «Vermicino è stato il punto di non ritorno, una di quelle strade dannate e assurde che l’umanità ogni tanto imbocca e dalla quale non sa più tornare indietro».

Dei segni di inversione di tendenza in realtà ci sono fin da allora. I genitori di Vermicino, ma anche tutti i misconosciuti eroi che si infilarono in quel tunnel italico, così come i parenti di Peci, non hanno scelto la lacrima televisiva, sono scomparsi dal teatrino mediatico. E la lettera di Roberta Peci all’assassino del padre che non ha mai conosciuto è un capolavoro di stile. Di un’Italia che non appare in tv ma che esiste e che presto – spero – tornerà protagonsta.

Ad maiora

…………..

Walter Veltroni

L’inizio del buio

Rizzoli

Milano, 2011

Pagg. 266

Euro 18

L’ASSOCIAZIONE MARCO FORMIGONI LANCIA IL PREMIO “VOLA ALTO”

Fra le tre persone delle quali, nel pieno della festa per Pisapia, sentivo particolarmente l’assenza c’era Marco Formigoni. Con quello che sarebbe diventato collega e amico (che un tumore si è portato inopinatamente via nel 2009) ci eravamo conosciuti mille anni fa a un corso di giornalismo organizzato dal settimanale “Avvenimenti” (parliamo davvero dei tempi di Gutenberg).

Poi ognuno aveva fatto la sua strada. Lui prima a Radiopop poi a Peacerporter. Io vagante fino alla Rai. Nel 2005 le nostre strade si erano incrociate anche professionalmente. Marco era portavoce della famiglia di Clementina Cantoni (la cooperante sequestrata in Afghanistan). Io il giornalista che doveva seguire il caso. Lo intervistai più volte. E, quando la liberarono, gli urlai la notizia (io dalla strada, lui a casa Cantoni).

Marco Formigoni ci ha lasciato ma il suo spirito battagliero è ancora qui tra noi. Amici e famigliari (in primis la moglie Manuela) hanno creato un’associazione che porta il suo nome. E ora lanciano l’idea di un concorso riservato ai più giovani. Ecco il comunicato con i dettagli.

Ad maiora.

Presentato a Milano il concorso VOLA ALTO sblocco d’immaginazione narrativa, promosso dall’Associazione Marco Formigoni. L’iniziativa è destinata ai giovani di qualsiasi nazionalità tra i 18 e i 36 anni, con lo scopo di stimolarli a raccontare storie vere o di fantasia attorno al tema dell’integrazione e della multiculturalità.

“Per fare del sano giornalismo o usare la fantasia per un racconto i giovani devono guardare e ascoltare ma soprattutto sviluppare la capacità di chiedersi perché “ ha detto Don Gino Rigoldi, tra gli intervenuti.

“Marco Formigoni aveva interesse per ciò che normalmente in questo Paese ‘non fa notizia’, il suo approccio  mi coinvolse allora, così come mi coinvolge oggi con questo progetto”, ha invece ricordato Gad Lerner.

 “Una brumosa alba milanese, la routine del risveglio, un cantiere, un corpo che precipita, il corpo di un uomo venuto da lontano… ”

I pochi capoversi di una storia che Marco Formigoni aveva cominciato a scrivere sono lo spunto di partenza del concorso. I partecipanti avranno poi la libertà di utilizzare le più varie forme e mezzi di comunicazione giornalistica o d’immaginazione. Dalle diverse declinazioni della radiofonia a quelle video (reportage e inchiesta, docu-fiction, documentario, produzioni con videofonino, corti cinematografici) e fotografia. Opere letterarie, narrative, prosa e poesia, drammaturgia, graphic novel.

 I lavori saranno sottoposti alla giuria composta da: Silvia Ballestra, Pietro Cheli, Gad Lerner, Salvo Mizzi, Laila Pozzo, Gabriele Salvatores, Assunta Sarlo e da Manuela Kovacs, Presidente dell’Associazione.

La premiazione avverrà a Milano il 26 marzo 2012 e saranno assegnati premi in denaro: 5mila euro per il primo, 3mila il secondo e 2mila il terzo classificato. La giuria potrà anche segnalare altri lavori meritevoli di menzione.

 Il bando di partecipazione al concorso è da oggi scaricabile dal sito http://www.marcoformigoni.it e i lavori dovranno essere recapitati entro il 30 novembre 2011 a: Segreteria organizzativa Premio Marco Formigoni  c/o Formigoni – viale Vittorio Veneto 14 – 20124  Milano.

 L’Associazione Marco Formigoni, nata a ottobre 2010 per volontà di familiari, colleghi e amici del giornalista prematuramente scomparso, intende proseguire l’impegno civile, la solidarietà sociale, ma anche l’autonomia da qualsiasi conformismo che hanno contraddistinto Marco nella professione e nella vita.

Obiettivo è contribuire ad abbattere recinti, separazioni, discriminazioni attraverso la promozione e il sostegno di progetti che contribuiscano a far circolare idee di pace e di giustizia, aiutino i giovani a conoscersi e rispettarsi, sostengano il desiderio di indagare e di descrivere la realtà fuori dalle apparenze, ma anche la fantasia, l’immaginazione, la speranza.  

Sempre nel 2011 l’Associazione ha sviluppato il sito internet www.marcoformigoni.it. Non è solo un contatto con gli associati, ma una fonte per tutti, con notizie, segnalazioni d’iniziative utili, link, archivi, compresi i lavori di Marco.

 

Carlo Rivolta, travolto dal riflusso

Un regista dovrebbe farci un film, scrive Concetto Vecchio nell’introduzione di questo bel libro di Andrea Monti “Travolto dal riflusso”, dedicato al collega Carlo Rivolta, ucciso dalla droga a soli 32 anni. Sarebbe un film in bianco e nero, temo, vista la distanza tra il giornalismo di oggi e di allora. E visto che in una redazione moderna, come ricorda giustamente la madre di Rivolta, invece di stordirsi con l’eroina, forse – strafatto di coca – Carlo potrebbe anche fare carriera.

Giornalista di sinistra, da Paese sera a Repubblica, da Lotta continua a Il manifesto, Carlo Rivolta ha seguito tra gli anni Settanta e Ottanta la fine del movimento studentesco, venendo appunto “travolto dal riflusso”. Attaccato da destra e da sinistra per le sue cronache sulle manifestazioni (che trovate nel volume edito da Ets) Rivolta finisce isolato anche nella sua redazione. Come scrive Andrea Monti, «un giornalista serio non adatta la realtà alle proprie opinioni politiche», anche se lo stesso Rivolta – in un’intervista testamento pubblicata da Prima comunicazione – dirà: «Certo non ero obiettivo, ma non penso si possa esserlo».

Affronterà anche la gioventù che rifiuta il riflusso e si butta nel terrorismo, ormai al capolinea. Un Rivolta che critica le pressioni incrociate cui era sottoposto: «Posso scegliere di cedere o di sfidare chi mi minaccia, in tutti e due i casi non sarà una scelta libera».

Viene anche minacciato dagli estremisti di sinistra («Ci si abitua a pensare a se stessi come persone che vivono guardando il faccia l a morte») ma sarà alla fine ucciso proprio dalla droga, che gli darà spunto anche di racconti “autobiografici” sulla vita dei tossici, sempre a caccia di roba buona.

Nel libro, Monti raccoglie anche le testimonianze di amici, parenti e colleghi come Gad Lerner («Allora ci sentivamo soprattutto militanti, interpreti del movimento, non professionisti») o Giampaolo Pansa («Un giornalista mai banale, in certi casi geniale, avidamente curioso dell’umanità, mai complice di un potente, mai al servizio di nessuno, neppure della propria carriera, non un burocrate dell’informazione ma un uomo che viveva attraverso i suoi articoli, e capace d’indignarsi, di soffrire e di piangere scrivendo»).

Ci sono anche considerazioni più critiche che ragionevolmente sarebbero state condivise dallo stesso Rivolta («Forse non sono adatto per questo mestiere»).

Un libro adatto a chi voglia intraprendere la professione di giornalista (come lo stesso autore del libro) dal quale mi sono appuntato tre frasi su questo mestiere che finiranno dritte dritte nel mio elenco di massime. La prima riguarda le prove di concerto alle quali partecipa anche chi scrive: «Bisogna rassegnarsi a suonare musiche a comando: con il proprio stile, certo, la propria interpretazione. Puoi rivoltarti, ma allora o produci cattiva musica o rendi indigeribile l’orchestra. O ci stai o non ci stai. La cosa grave e’ che non ti fanno suonare se sei bravo o no, ma se dici sì al direttore d’orchestra».

La seconda mi ricorda molto il mio mito russo: «In che cosa può consistere l’onestà di un giornalista? Nel riferire esattamente ciò che vede, nel tentare cronache puntuali, nel non accettare imposizioni esterne rispetto al suo lavoro».

La terza è più che mai di attualità in questi giorni post-Avetrana: «Si misura lo spessore umano di un giornale da come dà la cronaca, se fa a brandelli la gente o cerca di aiutarla».

Ad maiora

Andrea Monti

Travolto dal riflusso

Edizion ETS

Pisa, 2010

Euro 13

 Con Rosi Brandi e Daniele Biacchessi presenteremo il libro di Andrea Monti su Carlo Rivolta il 21 ottobre (ore 21) al Circolo Arci Métissage via De Castilla 8 (Milano)