daniela padoan

Auschwitz non si può dimenticare

Noi siamo usciti da Auschwitz, ma Auschwitz non è uscita da noi. Non è possibile. È stata un’esperienza troppo traumatica. Lei immagini una persona giovane – io non avevo neanche vent’anni – che si ritrova da un giorno all’altro completamente sola, avendo appreso che i suoi familiari sono stati bruciati. Ridotti a fumo da un camino. È spaventoso, non si può dimenticare, non si può sopportare di non avere una tomba su cui portare un fiore. È difficilissimo. Ci sono cose, magari le più banali, che te lo ricordano in qualsiasi momento: una ciminiera che fuma, una fila di bambini che assomiglia alle colonne che andavano…

È qualcosa che non si può spiegare abbastanza. Poi la vita di ciascuno ha avuto il suo corso, con le cose belle e le cose tristi che ci sono capitate, e tutte queste cose rimangono nell’animo, però Auschwitz, tutto quello che è successo lì dentro, tutto quello che si è visto, tutti quei bambini a cui non si è potuto portare soccorso, tutti quei vagoni che arrivavano, quei convogli infiniti che scaricavano centinaia e centinaia di persone al giorno che andavamo al gas… È indimenticabile.

Goti Bauer (in Come una rana d’inverno: conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz, Daniela Padoan, Bompiani 2005)

Ad maiora

L’indifferenza, la cosa più grave di tutte

Mi sono preparata, anno dopo anno, elaborando i ricordi, convincendomi che era necessario che diventassi testimone, che compissi il mio dovere nei confronti di quelli che non sono potuti tornare a raccontare, prima di diventare troppo vecchia. Ci ho pensato su molti anni, finché sono arrivata a parlarne con alcune amiche insegnanti. Non sapevo bene come cominciare, sapevo solo che l’avrei fatto volontariamente, gratuitamente, e che la scuola, gli studenti, i professori erano quelli a cui mi volevo rivolgere. È così, con grande fatica e grande umiltà, ho iniziato a parlare in pubblico, senza sapere neanche se mi sarebbe uscita la voce, perché un conto è decidere nel segreto della tua stanza, tra fotografie, libri, oggetti del dolore, altro è trovarsi davanti a una platea con cento paia di occhi che ti guardano, affrontando anche la maleducazione, o una domanda che fa soffrire, e l’indifferenza, che per me è la cosa più grave di tutte.

Liliana Segre (in Come una rana d’inverno, conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz, di Daniela Padoan, Bompiani, 2004)