Cocaina

Verso #ijf14 La maledetta polvere bianca che arricchisce le mafie: a Perugia mercoledì si dibatte di narcotraffico

“Il Messico è l’origine di tutto. Il mondo in cui ora respiriamo è Cina, è India, ma è anche Messico. Chi non conosce il Messico non può capire come funziona oggi la ricchezza di questo pianeta. Chi ignora il Messico non capirà mai il destino delle democrazie trasfigurate dai flussi del narcotraffico. Chi ignora il Messico non trova la strada che riconosce l’odore del denaro, non sa come l’odore del denaro criminale possa diventate un odore vincente che poco ha a che fare con il tanfo di morte miseria barbarie corruzione. Per capire la coca devi capire il Messico.”
Questa frase di Roberto Saviano dell’interessante Zero Zero Zero ci introduce al dibattito sul narcotraffico che modererò mercoledì 30 aprile al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia: http://www.festivaldelgiornalismo.com/programme/2014/coca-rosso-sangue
A discutere di questo tema (che ci tocca davvero da vicino) il fotografo spagnolo Edu Ponces e la giornalista di Avvenire Lucia Capuzzi che alla narcoguerra messicana ha dedicato un libro, recensito qualche mese fa:
https://andreariscassi.wordpress.com/2013/12/30/messico-la-narcoguerra-che-ci-riguarda-da-vicino/
Saviano nel suo ultimo testo dedicato all’oro bianco (“Non esiste investimento finanziario al mondo che frutti come investire nella cocaina. (…) La cocaina è un bene rifugio. (…) Si vende più facilmente dell’oro e i suoi ricavi possono superare quelli del petrolio) dedica molto spazio al cartelli messicani che hanno ormai preso il posto di quelli colombiani, alleandosi sempre con la feccia di casa nostra: la ‘ndrangheta.
I narcotrafficanti messicani sono avvantaggiati dall’essere vicino agli States che attraggono polvere bianca e migranti: “È un colabrodo il confine tra Messico e Stati Uniti, il maggiore consumatore al mondo della sostanza bianca. Non c’è un attimo che qualcuno non l’attraversi con la coca nei pannolini del poppante o nella torta portata dalla nonna ai nipotini. Circa venti milioni di persone vi passano ogni anno, più di qualsiasi altra frontiera del pianeta. Gli statunitensi riescono a controllare al massimo un terzo degli oltre tremila chilometri di recinzione, elicotteri, sistemi infrarossi. Tutto questo non ferma nemmeno il flusso di clandestini che rischiano la morte nei deserti e ingrassano i coyotes, i contrabbandieri di esseri umani controllati dai cartelli messicani. Ha anzi creato una doppia fonte di guadagno: se non hai i millecinquecento-duemila dollari per pagare il coyote, puoi sdebitanti infilando La coca nel bagaglio. Impossibile controllare tutte le persone, le auto, le moto, i camion, i pullman gran turismo che fanno la coda ai quarantacinque varchi ufficiali”.
La soluzione che Saviano propone nelle ultime pagine del suo libro per ovviare a questa drammatica crisi (quasi totalmente ignorata dall’agenda setting, del giornalismo e della politica) è la legalizzazione della droga, perché “va a colpire là dove la cocaina trova il suo terreno fertile, nella legge economica della domanda e dell’offerta: prosciugando la richiesta tutto ciò che sta a monte avvizzirebbe come un fiore privato dell’acqua”.
Un vecchio cavallo di battaglia dei radicali. Un tema che cercheremo di affrontare con quanti ci seguiranno mercoledì a Perugia.
Ad maiora
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Roberto Saviano
Zero Zero Zero
Feltrinelli
Milano, 2013

Messico, la narcoguerra che ci riguarda da vicino

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Altra lettura interessante, magari per chi sta andando o sta progettando di andare in Messico. È “Coca rosso sangue” della collega Lucia Capuzzi (lavora all’Avvenire, uno dei quotidiani più attenti agli Esteri nel nostro provinciale paese). Il saggio racconta la narcoguerra che sta dilaniando il paese latino americano. Lucia incontra e racconta le storie di chi vive nelle città più pericolose del Messico (e del mondo) da Tijuana a Ciudad Juarez (la città delle stragi di donne). Ma non dimentica anche il coinvolgimento del nostro paese, con il fiume di coca che passa anche dal porto calabrese di Goia Tauro.
La parte messicana è quella più tosta, senza mediazioni: “Gli oltre 2.200 corpi di polizia messicani sono in pratica agenti di protezione dei diversi gruppi di narcos”, scrive ad esempio la Capuzzi che chiosa: “Chi parla di ‘afghanizzazione del Messico’ non esagera”.
“Gli Stati Uniti del Messico sono una repubblica federale divisa in trentuno Stati, un distretto federale e dodici cartelli della droga”. Questi ultimi vanno a caccia di immigrati (in fuga verso gli States), che sono difesi sono da volontari, per lo più cattolici. Che a Lucia raccontano le loro coraggiose esperienze.
Finendo per guardare da vicino le nostre colpe rispetto a quel che succede laggiù (e non solo): “Scruto le facce dei passanti con insistenza. Faccio fatica a trasporre in carne e sangue il concetto di domanda. Quante di queste persone dall’aria pensierosa, assorta, distratta, sorridente, imbronciata, contribuiscono con la loro “domanda” a ingigantire l’impero dei narcos?”.
Perché, come spiega, Ranier Kasecker, esperto di narcotraffico: “Possiamo inventare tecniche sempre più sofisticate per individuare e bloccare i carichi. Finché ci sarà la domanda, però, non riusciremo mai a fermare il flusso”.
“Anche se vi credete assolti, siete comunque coinvolti”, cantava – giustamente – De Andrè.
Ad maiora
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Lucia Capuzzi
Coca rosso sangue
San Paolo
Cinisello Balsamo (Mi) 2013
Pag. 233
Euro 14

Una mafia da esportazione

Un libro ricco di informazioni su come dall’Italia il virus della mafia (e soprattutto della ‘Ndrangheta) si sia diffuso in tutto il mondo. Un volume che risulta particolarmente interessante per le cartine (continente per continente) dove sono segnalate le famiglie mafiosi (o le ‘ndrine) che partendo a volte da piccole cittadine del Sud Italia sono andate a impiantare le loro nefaste colonie all’estero. È il libro di Francesco Forgione “Mafia Export”, edito da Baldini e Castoldi (Milano, 2009, 20 euro). Forgione, ex parlamentare di Rifondazione ed ex presidente della Commissione Antimafia ricostruisce il reticolo mondiale della criminalità organizzata.

Un sistema economico, anzi un cancro, molto redditizio se si pensa che secondo i dati della DIA, nell’industria mafiosa tra settori legali, illegali e sommersi, «è impiegato il 27% degli abitanti attivi in Calabria, il 12% di quelli della Campania e il 10% di quelli della Sicilia. Praticamente quasi il 10% della popolazione attiva nelle principali regioni del Mezzogiorno». ù

Ma il primato mafioso non è solo italiano, è uno dei made in Italy da esportazione di maggior successo: « Con un fatturato medio di circa 130 miliardi e un utile collocabile tra i 70 e gli 80 miliardi di euro, le mafie italiane rappresentano una delle principali holding economico-finanziarie criminali del pianeta». E le mafie italiane potenzialmente registrano un giro d’affari superiore al Pil di paesi europei come Slovenia, Estonia e Croazia.

Il tutto grazie soprattutto alla droga, la vera rendita quotidiana su cui le mafie fanno affidamento. E i contrasti delle forze dell’ordine fermano solo in minima parte il fiume (specie di coca). « Solo in Italia sono state sequestrate, nel 2008, 4 tonnellate di cocaina, ma a queste vanno aggiunte altre 10 tonnellate sequestrate all’estero ma dirette nel nostro Paese. Sulla base di queste cifre e considerando il rapporto del 10-15% tra cocaina sequestrata e quella immessa sul mercato, in Italia nel 2008, sarebbe stata commercializzata una quantità di cocaina oscillante tra le 100 e le 150 tonnellate. Tagliandola le tonnellate diventano 400-450. Quindi il mercato della sola cocaina nel nostro Paese produce un giro d’affari pari a 354 miliardi e 661 milioni di euro». Numeri da capogiro. E purtroppo, grazie all’incremento dei consumatori, non stoppati nemmeno dalla crisi: «Non esiste merce al mondo, né ciclo produttivo, in grado di creare un tale plus valore e un profitto di queste proporzioni pronto a disperdersi ed entrare in circolo nell’economia, nel mercato e nei circuiti finanziari legali».

Eppure malgrado questi dati terribili, in molte parti del mondo, sottolinea Forgione nel suo libro, le autorità hanno sottovalutato il fenomeno mafioso. Innanzitutto in Germania dove, prima della strage di Duisburg, pochi avevano percepito la pericolosità delle infiltrazioni mafiose nelle ricche aree della Germania settentrionale, a poca distanza dai confini dei Paesi Bassi e dai porti di Rotterdam e Amsterdam. Va detto che il contrasto, da quello come da altre parti, è reso difficile dall’assenza nei codici penali del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.

Il libro sottolinea come la ‘Ndrangheta sia stata, tra le organizzazioni mafiose, la più veloce a modificare il proprio DNA e a diventare un vero attore nel mercato globale. E in grado di partecipare anche ai grandi appalti pubblici, come dimostrano le inchieste sul movimento terra anche in provincia di Milano. È stata ora inserita nella lista nera del Dipartimento del Tesoro Usa: quindi potrebbero scattare sequestro e congelamento beni per gli adepti.

Le cartine di Forgione si soffermano sulla Spagna, diventato in questi anni paese rifugio di moltissimi delinquenti di casa nostra: « Qui calabresi, siciliani e campani ci vivono bene. È un Paese mediterraneo in cui si sentono a casa e, come a casa, si sentono e sono tranquilli e sicuri a Madrid come a Barcellona, a Malaga come a Marbella o a Palma del Maiorca.  Non è un caso che negli ultimi 10 anni, più di un terzo dei 190 latitanti arrestati all’estero, tra i boss ricercati di tutte le organizzazioni criminali italiane, sia stato trovato proprio nel Paese iberico. Anche per questo i quotidiani spagnoli utilizzano metafore abbastanza implicite, hanno ribattezzato la bellissima Costa del Sol in Costa nostra o Cosca del Sol». E i segnali che da quelle parti le cose si stiano complicando lo dimostra la circolazione dei soldi europei: «Nel 2008 il governatore del Banco di Spagna ha segnalato come la movimentazione di carta moneta da 500 euro in Spagna sia assolutamente abnorme rispetto al contesto europeo: 110 milioni contro i 464 di tutta l’area Euro».

In “Mafia Export” ci sono molti riferimenti interessanti. Uno riguarda Marcello Dell’Utri (proprio oggi condannato in appello a 7 anni di cella per concorso esterno in associazione mafiosa) e i suoi rapporti con tale Aldo Micciché che deve scontare 20 anni di reclusione in Italia ma che vive libero a Caracas.

L’altro riguarda il Sud Africa, paese che in questi giorni ospita i Mondiali di calcio, ma che rispetto al passato, ha mantenuto antichi vizi. «Il Sud Africa ha cambiato il proprio sistema politico, avviato un profondo rinnovamento sociale con la fine dell’apartheid, ma continua ad assicurare – esattamente come il regime precedente – libertà d’azione e impunità a uno dei uomini chiave del sistema del riciclaggio internazionale di Cosa Nostra. È il siciliano Vito Roberto Palazzolo, condannato in Italia per traffico internazionale di stupefacenti e associazione mafiosa».

L’atlante geo-criminale limitato alle vicende che mi hanno incuriosito di più arriva fino all’Australia, dove sono coinvolti personaggi calabresi e un diplomatico (mandato proprio nel Bel Paese). Il caso è quello del calabrese Francesco Madafferi, con precedenti alle spalle e trasferitosi in Australia. Qui vive senza permesso di soggiorno e dopo qualche anno, per questo, viene arrestato. Dovrebbe essere espulso ma la comunità italiana di oppone.  Poi entra in gioco la politica: «La ministra, la liberale Amanda Eloisa Vanstone, nel 2005 annulla il decreto di espulsione per motivi umanitari (Madafferi ha oramai una famiglia australiana, NdR). La DDA protesta ricordando come Maddafferi per la legge italiana sia “soggetto delle misure di sorveglianza speciale applicate a persone molto pericolose per la società” ». Ma le cose non cambiano. Solo le cronache non si fermano: «Nel febbraio 2009, in Australia è comparsa la notizia che le autorità avrebbero riaperto l’indagine sui finanziamenti e le donazioni che il partito liberale avrebbe ricevuto da persone facoltose del mondo economico e imprenditoriale, riconducibili alla mafia calabrese. La notizia è stata occasione di nuove polemiche. Anche perché tra i nomi coinvolti nell’indagine, secondo alcune fonti giornalistiche australiane, compare quello di Antonio Madafferi, il fratello di Francesco. Nel frattempo la senatrice Vanstome, forse per essere tolta dal centro della polemica, è stata nominata ambasciatrice. Dal 2007 rappresenta il governo australiano in Italia».

Insomma come spiega Francesco Forgione, « la storia ci dice che mentre può e deve esistere una politica senza mafia, non possono esistere mafie senza il concorso e le collusioni della politica. È l’insegnamento che viene da un secolo e mezzo di storia d’Italia e vale per il mondo intero».

La speranza è che l’Italia che è stata patria del virus sia ora capace di produrre anticorpi. Uno di questi, lo ricorda Forgione, è FLARE, (Freedom Legality and Right in Europe), organizzazione nata da Libera. Il referente di FLARE per la Russia di nome fa Ilja Politkovskij. È il figlio di Anna Politkovskaja.