Clint Eastwood

Gli “spaghetti western” non sono scotti

Ricevo e volentieri pubblico questo nuovo contributo dell’amico e collega Sergio Calabrese. Che compare anche in foto mentre riprende Sergio Leone.

Ad maiora

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“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto”. Sergio Leone dixit. E’ una frase che fa parte ormai della storia del cinema mondiale. “Per un pugno di dollari” 50 anni fa uscì nelle sale cinematografiche italiane e tracciò la via a un genere che ancora oggi fa scuola: il western italiano. Giovanni Amati (il re degli esercenti) quando gli fu proposto di programmare “Per un pugno di dollari” decise di proiettarlo in una sala cinematografica della periferia romana. Una di quelle sale dove si vedevano soltanto film di serie “b”.  “Tanto – aveva detto il patron della distribuzione – il film sarà destinato a sparire dalla circolazione in un paio di giorni”. I critici, da parte loro, come spesso accade, spararono sul film senza pietà massacrandolo. Anche il vate dei critici Tullio Kezich non fu tenero con il regista romano. In seguito, contrariamente alle previsioni, gli “spaghetti western”, così erano chiamati tutti i film western che non erano made in Hollywood, faranno boom. Il pubblico, contro ogni previsione, ne decreterà un grande successo.

Cinquantanni fa, era il 1964, con “Per un pugno di dollari” nasceva il più clamoroso fenomeno commerciale del cinema italiano di tutti i tempi: la pellicola a basso budget, con una lavorazione a tratti disperata per mancanza di fondi (in Spagna ci fu addirittura un ammutinamento della troupe perché non percepivano la paga da un mese) ebbe un successo che in breve tempo varcò i confini italiani. Gli spocchiosi producer d’Oltreatlantico fanno marcia indietro e cominciano a tessere le lodi del regista italiano. Quelli che i critici dell’epoca avevano denunciato come difetti e approssimazione narrativa, furono proprio gli elementi che contribuirono al grande successo del primo “spaghetti western”. Nella storia il protagonista scardina tutte le convenzioni e gli schemi classici del film western dove vi è il bene e il male.

Nella pellicola di Sergio Leone il protagonista è l’antieroe che agisce esclusivamente per ragioni personali, anche se con nobili intenti. Questa originale chiave di lettura del western alla “romana” alla fine influenzerà molte pellicole western prodotte a Hollywood. Lui, “il Leone”, nel frattempo si gode il successo. E pensare che per fare leva sui mercati esteri “Per un pugno di dollari” Sergio Leone fu costretto a firmarsi con un nome americano, Bob Robertson. La produzione italiana riteneva che un flm western non poteva avere attori con nomi italiani. E fu così che anche Gian Maria Volontè, che nel film interpreta il ruolo del cattivone, Ramon Rojo, fu costretto ad assumere lo pseudonimo di John Welss.

Dopo il trionfo sui mercati americani del film, ci furono alcuni registi che furono invece costretti dalle major di Hollywood a firmare i loro film con nomi italiani. Il western “made in Ciociaria” tira e fa tendenza. I film girati da Sergio Leone in Lazio, Abruzzo e nelle Asturie sono ormai un fenomeno internazionale. Tra il 1966 e il 1968, sono ben 160 i film di ambientazione western. Questo è il cinema bellezza, è il cinema italiano! Sembra dire Leone ai suoi criticoni che lo avevano duramente accusato di aver plagiato per il suo “Pugno di dollari” il film del giapponese Akira Kurosawa “La sfida del samurai”. Cosa del resto vera che ammise pure – senza tanti imbarazzi- lo stesso regista. Ci fu anche una causa per plagio che il regista Kurosawa vinse. Una piccola ombra su uno dei capolavori del cinema western targato Leone: primo della trilogia con i film “Per qualche dollaro in più” e “Il buono, il brutto e il cattivo”. Film quest’ultimo, che nelle scuole americane di cinema si studia ancora oggi analizzando le inquadrature, i grandi totali, l’uso maniacale dei primissimi piani, e soprattutto gli sguardi e i silenzi dei protagonisti. Al successo di questi film contribuì il monumentale Clint Eastwood. L’uomo dal mantello e dall’eterno sigaro in bocca. Sigaro (toscano) che il protagonista del “Pugno di dollari” detestava. Lui non ha mai fumato in vita sua. Ogni scena col sigaro in bocca per lui era una tortura. Inizialmente il protagonista doveva essere Henry Fonda, ma il suo agente, al quale Leone aveva mandato il copione da leggere, gli rispose con un telegramma che Fonda non avrebbe mai interpretato una simile parte. Poi Leone scoprì che Fonda non aveva mai letto il copione. Ma tant’è. Al successo dei film di Leone contribuì, con le sue colonne sonore, un altro grande del cinema italiano: il Premio Oscar Ennio Morricone. Anche lui, all’epoca, costretto a firmare le musiche di “Per un pugno di dollari” con il nome di Dan Savio.

Sergio Leone visto da vicino                                                                                                 

Fine anni Settanta. Per gli speciali della Rai una troupe gira “Registi in vacanza”. L’appuntamento con il nostro protagonista dello speciale è di buon mattino, al molo di Fiumicino. A bordo dello yacht  ci accoglie un giovane allampanato collaboratore del regista che ci comunica che il “maestro” arriverà tra poco. Sergio Leone è il protagonista del nostro speciale. Ciak in campo e l’”omone”, che ci incute timore solo a guardarlo, ci mette subito a nostro agio. Si racconta e racconta momenti della sua vita familiare e professionale. La dura gavetta, i primi successi e poi la fama di regista universalmente riconosciuto. Il sogno della sua vita era quello di realizzare un film western da lui scritto. I sogni nel cinema, a volte si avverano. Sergio Leone con i suoi “Spaghetti western” e tanti altri memorabili film è ormai entrato di diritto nell’Olimpo della storia del cinema Mondiale. Per la cronaca, il giovane allampanato che ci accolse sulla barca del regista era (è) Dario Argento. Il regista di “Profondo rosso e di tanti altri thriller “made in Italy”. Argento con Bernardo Bertolucci collaborò alla stesura del soggetto di un altro grande film di successo di Leone “C’era una volta il West”.

Sergio Leone

Figlio di Vincenzo Leone regista del cinema muto e dell’attrice Bice Valeran, esordisce come comparsa “volontaria” in “Ladri di biciclette” il capolavoro neorealista di Vittorio De Sica. Il suo primo lungometraggio è stato “Il colosso di Rodi” film mitologico che aveva avuto modo di esplorare collaborando come aiuto regista nel film “Ben Hur” (1959) Il regista muore per un infarto il 30 aprile del 1989 mentre nel suo studio stava lavorando alla sceneggiatura incentrata sulla storia e l’assedio di Leningrado.
Alè!
Sergio Calabrese

Spot Fiat. Per superare l’adagio su donne e buoi

Nei media italiani attenti a queste tematiche si è parlato quasi di più dello spot di Eastwood-Chrisler (che sembra auspicare un altro mandato per Obama) rispetto a quello della Fiat Abarth giocato sui doppi sensi e sul binomio donna e motori:

http://youtu.be/siWVgAzhFC8

 Più di uno si è sorpreso del fatto che la “bellezza italiana” che vi viene rappresentata sia in realtà una modella romena. Si veda per tutti il commento di Repubblica:

http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/super-bowl-lo-spot-fiat-in-un-italiano-improbabile/87514/85907

A me sembra invece che Catrinel Menghia, che peraltro vive in Italia (e compare nello show di Chiambretti), possa rappresentare l’immagine italiana.

Fin dai tempi dei romani, la principale capacità della penisola è stata quella dell’integrazione.

Che negli ultimi anni abbiamo perso mettendo sempre più spesso l’etichetta su qualunque cosa fatta da uno straniero. Anche se ormai è un italiano acquisito. Il cinese, il romeno, l’ucraino sono sempre più spesso definizioni – a volte razziste – della cronaca.

Almeno per le modelle degli spot credo debba essere superato l’antico adagio “donne e buoi dei paesi tuoi”.

 Ad maiora.

 Ps. Dopo aver visto lo spot, leggetevi i commenti. Sono una babele di lingue. Anzi di madrelingue come scrive l’insuperabile Nicole Minetti.

La copertina del Fascista libertario

Il fascista libertario: gli ossimori di Luciano Lanna

È un libro fatto di ossimori “Il fascista libertario” di Luciano Lanna che da un mese non è più direttore del Secolo d’Italia. Ha resistito solo poche settimane dalla cacciata di Flavia Perina e dalla normalizzazione del quotidiano che fu dell’Msi.

Il volume di Lanna (edito dalla Sperling & Kupfer) è interessante per capire su quali basi politiche si sia basato lo strappo di Fini e di Fli rispetto al partito del predellino. Ed è interessante anche e soprattutto per chi non ha mai frequentato gli ambienti di destra che, si scopre, hanno più aneliti libertari di quanto si possa pensare.

I riferimenti di Lanna (e dei finiani) sono anche figli della cultura pop, come i film di Alberto Sordi o la parabola di Clint Eastwood, passato nella sua lunga vita/carriera, da uomo forte dei film western a cittadino impegnato in battaglie per l’eutanasia, tanto da dichiarare: «Sono un libertario, amo l’indipendenza. Venero lo stato mentale di chi rimane indipendente, in politico e nella vita».

I paletti che Lanna pone a questo cammino sono chiari: «Dalla “rivoluzione conservatrice” al “socialismo liberale”, dal “fascismo di sinistra”, recentemente rivendicato anche dal filosofo Slavoj Zizek, alla tipologia dell’“anarchico di destra”, dal “modernismo cristiano” alla definizione che Togliatti dava del fascismo come “regime reazionario di massa”. E ancora del fenomeno degli indiani metropolitani alla teorizzazione del “cattolico comunista”, dalla formula che spesso ricorre sui media di “tradizione e modernità” alla sintesi berlingueriana di “partito di lotta e di governo”, dalla “sinistra reazionaria” che pasolinanamente qualcuno ha pure evocato sino all’espressione di “estremista moderato”, utilizzata per esempio per Mario Pannunzio, e alla stessa prospettiva di “destra sociale”».

Il tutto ovviamente in una prospettiva che non è fascista ma neanche antifascista. Per citare Ignazio Silone del 1945: «Dopo esserci liberati del fascismo, noi dobbiamo ora cercare di superare l’antifascismo». O meglio ancora, per rileggere Ennio Flaiano: «La nostra generazione l’ha presa in culo. I preti da una parte, i comunisti dall’altra».

Insomma un modo per rileggere la storia patria anche leggendo, con altre lenti, come le gesta dannunziane. Scrive infatti Lanna: «Tanto per dire, a Fiume era stato introdotto il divorzio, che nella legislazione italiana sarebbe arrivato solo nel 1970. le donne potevano votare ed erano considerate a tutti gli effetti al pari dei maschi». Ma anche le pagini più agghiaccianti del fascismo, bollate così dall’ex repubblichino Carlo Mazzantini: «Le leggi razziali promulgate dal fascismo furono una vergogna e una ottusa stupidità di eccesso di servilismo».

In questo contesto stupisce fino a un certo punto l’omaggio fatto da Mirko Tremaglia (ora in Fli), già ministro per gli Italiani nel mondo, per Sacco e Vanzetti, i due anarchici giustiziati negli Usa nel 1927: «Due di quegli italiani “senza scarpe” che varcarono l’oceano in cerca di un futuro migliore ma subirono l’attacco disumano di quanti nel mondo hanno sfruttato il lavoro dei nostri connazionali».

Lanna pone soprattutto base musical-cinematografiche a questo libertarismo di destra. E cita ad esempio il Manifesto del beat italiano, diffuso durante il Festival di Sanremo del 1966,  scritto da Lucio Dalla, Sergio Bardotti e Piero Vivarelli: «Noi attingiamo alla tradizione, ma nonla rispettiamo. Unatradizione è valida solo in quanto si evolve. Altrimenti interessa i musei. Siamo, senza alcuna riserva, decisamente contro quelli che non la pensano come noi. Il nostro modo di pensare alla musica è anche il nostro modo di vivere. Noi crediamo nei giovani e lavoriamo per loro. Si può essere vecchi anche a diciotto anni…».

Su queste basi, si fonda poi il racconto dei passi fatti da Gianfranco Fini in questi anni. Tante le affermazioni con le quali l’attuale presidente della Camera ha cercato (sta cercando) di realizzare una destra diversa nel nostro Paese: «Se oggi esiste più attenzione per i diritti civili, per le donne, per le minoranze, questi sono i lasciti del primo ’68. La destra allora perse una grande occasione. Anziché capire le ragioni dei giovani, difese l’esistente, si schierò con i baroni dell’università, con i parrucconi…». Parole importanti che non a caso hanno lasciato l’amaro in bocca ai ricercatori che pensavano Fli si sarebbe smarcata dalla “riforma” Gelmini che tarpa le ali ai giovani che vogliano avviare una carriera in università. Ma così non è stato.

Ma l’ex direttore del Secolo racconta anche le iniziative portate avanti da Fini sul fronte dell’immigrazione, tema sul quale invece larga parte del centro destra ha scatenato la politica della paura: « “Sarebbe bello”, ha detto Fini, “se l’informazione non titolasse con riferimenti etnici: romeno scippa, albanese ruba. Perché altrimenti si può diffondere tra i cittadini l’equazione: straniero uguale delinquente”. Ecco, c’è chi sostiene che certe battaglie sarebbero estranee alla specificità della destra italiana e che certe prese di posizione dimostrerebbero solo un processo di metamorfosi, per non dire di liquidazione, di un patrimonio culturale di presunto riferimento». Ma Lanna ricorda anche il commento dell’ex leader di An o ora di Fli dopo aver visto il film di Renzo Martinelli “Il mercante di pietre”. «E’ un film di propaganda becera. Un film che sconsiglio a tutti. Film come questi, infarciti di stereotipi sugli arabi, rischiano senz’altro di alimentare l’islamofobia qui da noi. Davvero non se ne sentiva il bisogno. È spazzatura».

Parole nette, come quelle pronunciate da Fini nel discorso del2009 nel quale annunciò la fine di An: «Non ci piace l’ordine delle caserme, una società è invece coesa quando viene difesa e in qualche modo incrementata la dignità della persona umana, qualche che sia il colore della pelle, qualche che sia il Dio in cui credi, quale che sia il ruolo sociale».

Luciano Lanna racconta insomma una via italiana al libertarismo chiedendosi: «Esiste una sensibilità nuova al punto di non essere non gerarchica, non totalitaria, non conservatrice, non anti-moderna, non patriottarda e non razzista? ».

Una domanda che sarebbe da girare a Berlusconi e Bossi, in queste ore riuniti (ad Arcore) per decidere il futuro del governo Pdl-Lega.

Ad maiora.

Luciano Lanna

Il fascista libertario

Sperling & Kupfer

Pagg. 256

Euro 17