http://www.aclibergamo.it/attivita/appuntamento/anna-politkovskaja.-una-donna-non-rieducabile
Serata organizzata dalle Acli: Auditorium, via Santa Margherita 2, Torre Boldone (Bg). Ore 20.30.
Vi aspetto!
Ad maiora
http://www.aclibergamo.it/attivita/appuntamento/anna-politkovskaja.-una-donna-non-rieducabile
Serata organizzata dalle Acli: Auditorium, via Santa Margherita 2, Torre Boldone (Bg). Ore 20.30.
Vi aspetto!
Ad maiora
Lunedì sarà una serata importante per il sottoscritto. Le Acli bergamasche mi hanno invitato per una serata dedicata ad Anna Politkovskaja, dedicata a questa “donna non rieducabile”.
L’evento che si svolgerà all’Auditorium (Via S. Margherita 2, Torre Boldone) è inserito in un lungo ciclo di conferenze intitolato “Molte fedi sotto lo stesso cielo”, nelle cui conferenze sono intervenuti personaggi di molto maggior peso del sottoscritto. Ma io sarò lì a parlare di un personaggio che mi appassiona a da anni. E che, sono convinto, che – anche in questo modo – continuiamo a far vivere.
In questo link i dettagli della serata che però temo, sia già tutta esaurita.
Ad maiora
In scena al teatro Donizetti di Bergamo con 72 anni di ritardo.
Senza perdere la sua forza e la sua freschezza.
Questo è stato ieri sera, in una sala gremita ed emozionata “La serenata al vento” di Aldo Finzi.
L’opera, scritta nel 1931 e candidata per un concorso alla Scala sette anni dopo, venne accantonata per le infami leggi razziali emanate dal regime fascista e avallate da quella Corte da operetta che ha regnato in questo strano paese.
L’opera di Finzi si perse nei meandri della storia e solo ieri sera ha potuto per la prima volta essere messa in scena. Anche grazie alla Jerusalem Foundation e a un progetto che ha visto una cooperazione italo-israeliana, per un progetto di integrazione giovanile.In scena, bravissimi davvero, tanti artisti cresciuti in Unione sovietica e poi emigrati in Israele. Una storia che verrà raccontata in un documentario di una mia tesista Sanela Bajric.
“Fate suonare la mia musica” chiese Aldo Finzi prima di morire. Una scritta che è comparsa, cubitale, sul sipario del Donizetti prima dello spettacolo.
Ognuno dei tre atti si chiude con gli artisti che si paralizzano in un quadro.
Lo stesso che ha congelato quest’opera per sette decenni.
Ma, alla fine, quella musica è stata davvero fatta suonare.
Ad maiora
Abou Elkassim Britel, marocchino con cittadinanza italiana, e’ stato scarcerato insieme ai 190 detenuti politici e islamici graziati dal Re Mohammed VI del Marocco. Dopo la lunghissima detenzione la moglie ha avvisato tutti gli amici via mail della fine anticipata della pena.
L’uomo, residente a Bergamo, tornerà presto in Italia.
Vittima – nel pieno delirio islamofobico che ha fatto seguito all’attentato alle Torri Gemelle – di una extraordinary rendition della Cia in Pakistan dove era stato rapito nel 2002, Britel era stato portato in Marocco dove è stato processato e condannato a 9 anni di carcere. In Italia erano invece state archiviate le inchieste a suo carico, aperte alla Procura di Brescia.
Le organizzazioni umanitarie hanno denunciato che sarebbe stato anche sottoposto a tortura.
Per la sua liberazione era stato firmato un appello da parte dell’allora sindaco di Bergamo, Roberto Bruni e da un centinaio di deputati italiani ed europei.
Nel carcere di Casablanca aveva ricevuto le visita di due delegazioni di parlamentari guidate da Ezio Locatelli e Tana De Zulueta. Alla troupe del Tg3 (composta dal sottoscritto col collega Ermanno Generali) era stato invece impedito l’ingresso e l’incontro col detenuto.
Malgrado i numerosi scioperi della fame, Britel non era riuscito ad ottenere la grazia, più volte sollecitata anche dalla moglie, Anna Pizzighini.
In questi anni e’ stata lei (che ora, convertita all’islam si chiama Khadija), a sollecitare autorità e giornalisti a mantenere viva – anche grazie a un’aggiornato blog – l’attenzione su questo caso.
Dopo decine di viaggio in Marocco e di frustranti attese in carcere, ora aspetta con ansia il suo ritorno in Italia.
Ad maiora.
Già due anni fa quando mi recai a Casablanca a seguire la vicenda di Abou Elkassim Britel – noto come Kassim – cittadino italiano di origini marocchine, vittima delle extraordinary rendition, il carcere Ain Bourja (da fuori, non ci fecero entrare) mi sembrò un girone infernale. Poi è stato spostato in uno ancora più rigido (Oukasha).
Ora apprendo dal racconto della moglie (e che pubblico di seguito) che Kassim è stato traferito – in malo modo – in un altro penitenziario, a Kenitra.
Dal 2002 questo uomo viene punito per le sue idee radicali e per l’islamofobia seguita alla strage delle Torri Gemelle. Rapito (dalla Cia) in Pakistan è recluso da anni nelle carceri marocchine. Le inchieste italiane nei suoi confronti si sono chiuse con un nulla di fatto. Quelle di Rabat lo hanno visto condannare (prima a 15 poi) a 9 anni di carcere per associazione sovversiva. Dovrebbe averli già scontati ma la carcerazione “regolare” è iniziata nel 2003. Per lui si erano mossi l’ex sindaco di Bergamo (città dove Kassim viveva), Roberto Bruni e gli ex parlamentare di Prc Ezio Locatelli e dei Verdi Tana De Zulueta. Ma invano.
Kassim ha provato in tutti i modi ad attirare le attenzioni delle autorità italiane, anche con lunghi scioperi della fame. Ai tempi di Clemente Mastella (era Ministro della Giustizia del centro sinistra, ricordate?) per motivarlo a intervenire un artista gli aveva spedito un fantoccio incaprettato, facendo scattare l’allarme per una presunta minaccia.
Da allora, purtroppo, la vicenda non si è mossa di un centimetro. Anzi, Kassim viene spostato – come un pacco – da un carcere all’altro.
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Ecco il blog che parla della vicenda: http://kassimlibero.splinder.com/post/23437672
Ed ecco l’ultimo post sul “trasferimento”:
Venerdì 8 o sabato 9 ottobre, alle sei del mattino, Abou Elkassim Britel subisce un trasferimento coatto dal carcere di Oukasha al carcere centrale di Kenitra. Privato dei suoi abiti, dell’orologio e di tutti gli effetti personali, Kassim viene fatto salire su una vettura con gli occhi bendati e, arrivato a Kenitra, buttato giù dal mezzo e duramente malmenato con calci e manganelli. Già malato e provato dagli anni di prigionia e tortura, viene chiuso in cella senza vestiti, senza cibo, senza letto e senza coperte, con i lividi e le ferite ancora doloranti. Ha fame, è stato derubato anche delle sue provviste di cibo. Domenica sera la moglie, non avendo più notizie di lui da giovedì, lancia l’allarme. Oggi, lunedì 11 ottobre, una delle sue sorelle riesce a fargli visita e ad incontrarlo. Kassim, in lacrime, racconta e chiede di esser visitato al più presto dall’Ambasciatore o dal Console.
Ad maiora