Day: 23 aprile 2012

Free Pussy Riot. A Mosca si prega. A Roma si manifesta

A Mosca in migliaia pregano, con Kiril (senza il suo costoso orologio) davanti alla Chiesa di Cristo Salvatore contro la blasfemia:
http://www.nuovasocieta.it/esteri/item/32369-mosca-anatema-contro-le-pussy-riot.html
A Roma invece manifestazione in solidarietà con le Pussy Riot (che proprio in quella chiesa moscovita hanno fato un concerto abusivo di protesta che può costar loro 7 anni di cella):

Qui giusto per capire che ogni chiesa e paese il Photoshop sovietico col quale si è cercato di non fare vedere l’orologio del patriarca:
http://www.giornalettismo.com/archives/270398/il-patriarca-contro-le-pussy-riot/
Il gruppo punk femminista starà in carcerazione preventiva (come Lele Mora, d’altronde) fino a giugno.
Ad maiora

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Milan City Marathon: le scuse degli organizzatori

Dopo l’imbarazzante figura al ritiro sacche, gli organizzatori della Milan City Marathon 2012 cercano di correre ai ripari.
Quanto è successo era stato documentato così:
https://andreariscassi.wordpress.com/2012/04/15/caos-al-ritiro-sacche/
Ora l’Rcs Sport SPA (che ha gestito l’evento e che – malgrado la magra – credo voglia gestirlo anche in futuro) ha mandato una lettera (mail) a tutti gli staffettisti (8.000).
Prima le parole di circostanza (“profondamente rammaricati dei disagi” e “siamo i primi a essere delusi” mah) annunciano di aver aumentato la donazione alle onlus cui finivano parte delle donazioni delle staffette. Gli verrà girato il 15 per cento delle iscrizioni, pari a 32 mila euro.
Meglio che niente, direi.
Speriamo che l’anno prossimo a gestire il tutto ci sia l’esercito o qualcuno in grado di occuparsi di tutti.
Bertolaso credo che sia libero…
Ad maiora

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La curva del Genoa e la piccola Norimberga

L’ondata di sdegno moralista seguita a Genova-Siena mi fa un po’ sorridere. Il perbenismo schiera tutti dalla stessa parte. Sul Corriere, uno degli indignati pezzi cita persino l’alluvione su Genova, quasi a imputare alle curve anche questo.
Gli ultrà sono un ottimo capro espiatorio di un sistema (sportivo, ma non solo) che fa acqua da tutte le parti.
Nell’epoca delle società (anche sportive) secolarizzate, la maglia è un simbolo. E quel chiedere (anzi, imporre con la forza) ai giocatori di togliersela, è una specie di attestazione di proprietà. Di chi sono le squadre di calcio? Dei presidenti (spesso imprenditori a rischio bancarotta)? Dei soci (i board sono a volte impresentabili, la Juve è ancora parzialmente libica, l’Inter raffina e il Milan va be’)? Dei giocatori (che cambiano casacca ogni due mesi e arrivano anche a vendere i derby)? O dei tifosi?
Di questi ultimi gli ultrà si sono autonominati portavoce. Sono d’altronde gli unici organizzati e con seguito, popolare e giovanile.
Per evitare che disturbassero il meccanismo socio-economico che sta intorno al pallone, in questi anni le società li hanno spesso assecondati. Anzi, hanno assecondato i capi della curva. Che però, come ieri, ogni tanto esce dai binari.
Scatenando l’irritazione nazionale.
È la tv che comanda in campo. Che decide orari, impegni, ritmi. Che causa persino gli infortuni.
Ma è più semplice dare la colpa agli ultrà. Quelli che vivono per il calcio. Che a questo dio sacrificano tutti i fine settimana.
Un dio ingiusto e squilibrato che vende a metà campionato i suoi gioielli per far cassa (un anno fa la Samp, ora il Genoa). In Usa, patria del liberismo, gli acquisti sono regolati da regole: è la squadra più debole a prendersi i giocatori migliori.
Ma d’altronde siamo in Italia. Dove il Verona vinse l’unico scudetto in cui venne fatto un vero sorteggio per l’assegnazione degli arbitri. Poi mai più ripetuto.
Pensavo infine: se – seguendo l’idea della piccola Norimberga di Grillo – si imponesse ai politici di uscire dal campo consegnando qualcosa che “ci appartiene” cosa chiederemmo?
I vestiti firmati?
Le barche?
Gioielli e lingotti?
O il sogno di un paese migliore, quello per cui 67 anni fa migliaia di ragazzi sacrificarono la loro vita?
Ad maiora

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