“Colui che vi domina così tanto ha solo due occhi, due mani, un corpo, non ha niente di diverso da quanto ha il più piccolo uomo del grande e infinito numero delle vostre città, eccetto il vantaggio che voi gli fornite per distruggervi. Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia, se voi non glieli forniste? Come farebbe ad avere tante mani per colpirvi se non le prendesse da voi? I piedi con cui calpesta le vostre città, donde gli verrebbero se non fossero i vostri? Ha forse un potere su di voi che non sia il vostro? Come oserebbe attaccarvi se voi stessi non foste d’accordo? Che male potrebbe mai farvi, se voi non faceste da palo al ladrone che vi saccheggia, se non foste complici dell’assassino che vi uccide e traditori di voi stessi? Voi seminate i vostri campi affinché egli li devasti; arredate le vostre case per farvele derubare; allevate le vostre figlie per soddisfare la sua lussuria, nutrite i vostri figli perché nella migliore delle ipotesi li mandi a combattere le sue guerre, li spedisca al macello, li facci strumenti della sua avidità ed esecutori delle sue vendette. Vi ammazzate di fatica perché egli possa trastullarsi e sguazzare nei suoi turpi piaceri.”
La mente, per noi italiani viaggia subito all’oggi. Ma il testo è una delle parti più significative del “Discorso sulla servitù volontaria” di Étienne de La Boétie appena ripubblicato da Chiarelettere. Del testo i diritti sono abbondantemente scaduti essendo il filosofo vissuto tra il 1530 e il 1563.
Nell’introduzione scritta da Paolo Flores d’Arcais ci si interroga sull’attualità di questo pensiero che se la prende con la tirannide ma “ha come bersaglio della sua critica devastante ogni forma di potere”. Una dissertazione “formulata mezzo millennio fa si dimostra viatico straordinario per pensare la servitù volontaria nelle odierne democrazie”.
L’elemento centrale è infatti la responsabilità di ciascuno di noi nel mantenere al potere di ci guida, spesso malamente. Perché come scrive La Boétie: “È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola, che, potendo scegliere se essere servo o libero, abbandona la libertà e si sottomette al giogo: è il popolo che acconsente al suo male o addirittura lo provoca”.
Il mistero della tirannia è dunque svelato in questo modo. La ricetta è fermarsi, non diventare un anello di quella catena che ci guida e ci imprigiona.
Perché del tiranno, come conclude La Boétie, siamo tutti complici: “Cinque o sei individui sono ascoltati dal tiranno, o perché si sono fatti avanti da soli, o perché sono stati chiamati da lui come complici delle sue crudeltà, compagni dei suoi piaceri, ruffiani delle sue dissolutezze e soci delle sue ruberie. (…) Quei sei hanno sotto di loro altri seicento approfittatori, che si comportano nei loro riguardi come essi fanno col tiranno. Quei seicento ne hanno sotto di loro seimila cui fanno far carriera, ai quali fanno avere il governo delle province. (…) Dopo costoro, ne viene una lunga schiera, e chi vorrà divertirsi a sbrogliare questa rete vedrà che non sono seimila, ma centomila, ma milioni che grazie a questa corda sono attaccati al tiranno, e si mantengono ad essa”.
Ad maiora
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Étienne de La Boétie
Discorso sulla servitù volontaria
Chiarelettere
Milano, 2011.
Pagg.71
Euro:7