Mi ha stupito il fatto che The Tree of Life (che dimostrando la nostra provincialità ora al cinema esce col titolo tradotto) abbia vinto la Palma d’oro a Cannes. Il film del regista Terrence Malick è infatti una sorta di Corazzata Potemkin moderna e spero che un giorno un novello Fantozzi lo battezzerà come merita.
I critici parlano di capolavoro nel quale due storie si intrecciano. Una, dedicata al senso della vita, è onirica e visuale. Immagini davvero bellissime che sarebbero state perfette in un documentario dedicato alla natura (si vede anche il vulcano islandese che turbò i cieli di mezzo mondo, cugino di quello che – proprio in queste ore – si è messo a eruttare), ma anche alla preistoria (ci sono pure orribili dinosauri un po’ antropomorfi). E invece questa lunghissima parte iniziale finisce per appesantire la pellicola e ti porta ormai esausto a seguire le (tristi) vicende di una famiglia americana domninata dal classico padre-padrone (Brad Pitt).
Ne esce un prodotto confuso dove nemmeno la bravura di Sean Penn può togliere quel senso di inutilità che le due ore e mezzo di film lasciano agli spettatori (ma non alla Giuria della Croisette).
Personalmente, per spiegare il senso della vita, pur in chiave ironica e dissacrante, continuo a preferire i graffi dei Monty Python, ai deliri religiosi (con un aldilà dove si camina su una desolante spiaggia):
http://www.youtube.com/watch?v=iqaRCey8tLQ&feature=related
Ad maiora