“Russian Attack” è un antologia di racconti di tre scrittori russi contemporanei invisi al regime putiniano. Viktor Erofeev, Eduard Limonov (dentro e fuori dal carcere con i suoi nazional-bolscevichi) e Vladimir Sorokin nei loro scritti mettono al bando la nuova Russia e in cambio, come scrive Erofeev, “sono accusati di tutto ciò di cui si accusa solitamente uno scrittore allo scopo di distruggerlo pubblicamente: pornografia, istigazione all’uso delle sostanze stupefacenti, turpiloquio”.
Accuse che non rimangono sulla carta ma che si materializzano in proteste pubbliche dei giovani balilla che marciano con l’effige di Putin sulle magliette. Per questo Erofeev si rivolge – in una lettera aperta – direttamente all’uomo forte della Russia nella lettera il cui titolo richiama un famoso slogan putiniano contro i terroristi ceceni (i cui risultati sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti, con gli attentati che si susseguono a Mosca), “Accoppare gli scrittori nel cesso”. Scrive, provocatoriamente Erofeev: «Boicottare la presentazione di un nuovo libro, ammucchiare le opere di uno scrittore famoso davanti alla sua porta di casa o presentarsi da lui con la proposta di mettere le inferriate alle finestre: queste violenze sugli artisti non le ricordano la Germania degli anni ’30?».
Il libro è davvero pieno di spunti immaginifici a dimostrazione della forza che continua ad avere la letteratura russa. Leggete queste righe di Viktor Erofeev nel racconto intitolato “Lo zar dei sogni russi”: «L’ho sognato di nuovo. Se me stava in piedi, timido, dimesso, teso. Guardia del corpo di se stesso. È difficile trovare in Russia qualcuno a cui Putin non sia apparso in sogno. Lui è lo zar dei sogni russi. Da cosa nasce questa attrazione per Putin? Forse dal fatto che lui è vuoto, come un attore capace di interpretare qualsiasi ruolo restando indifferente al contenuto? (…) In realtà non ha mai interpretato alcun ruolo. Né quello di Amleto, né quello di Faust, né quello di Don Chisciotte. Ha interpretato quello del vuoto in cui quasi ciascuno di noi ha riversato il proprio sentire. (…) Putin è proprio questo vuoto, questo buco cosmico che attende di essere riempito. Sarebbe stato difficile trovare persona più adatta a occupare il posto di presidente della Russia. (…) Il vuoto di Putin suscita una paura involontaria. Che genera assuefazione. E questo il popolo lo avverte. Il popolo non avrebbe mai reagito ai soliti discorsi retorici ma il gelo del vuoto lo fa tornare un poco alla realtà».
O questa analisi che il discusso Limonov fa della Patria russa: «La natura, tirchia, dà alla Russia poca luce e ancora meno sole. (…) A causa della mancanza di luce la pelle delle nostre donne è pallida e bianca come i germogli delle patate conservate nel buio degli scantinati e mollicce, fiacche le anime dei nostri uomini sempre pronti a frignare. I nostri figli vengono concepiti nel clima artificiale degli appartamenti. (…) Il fatto è che l’uomo non è nato per vivere a queste latitudini nevose. Ha fatto male a stabilircisi, si è spinto troppo a nord, troppo lontano. Di qui la presenza dell’artificiale, dell’anormale nella psicologia russa. Siamo incubati, artefatti, molto prima dell’avvento della clonazione. Nel corso di tutta la nostra storia non abbiamo fatto altro che lottare contro una natura ostile, contro il paesaggio per la distruzione del paesaggio. La Russia è il paese degli appartamenti. Per un appartamento qui si arriva a uccidere. L’appartamento è il luogo in cui il cittadino russo feconda le uova della sua femmina, nutre i suoi figli, il luogo in cui si svolge l’intera vita.(…) Sotto il regime sovietico gli appartamenti venivano ‘dati’. In Russia una persona senza appartamento è condannata a una morte per assideramento. Lo Stato dava un appartamento soltanto ai bravi cittadini. Ai cittadini laboriosi, remissivi. A chi teneva a freno la lingua. (…) Sembrerebbe che ora il regime sia cambiato, e infatti oggi un appartamento lo si può comprare. Ma pare che lo Stato sia intenzionato a porre la questione in questi termini: i soldi li possono guadagnare solo i cittadini ubbidienti, remissivi, che si comportano bene. I bravi cittadini».
Il volume si chiude con un interessante cronologia degli avvenimenti russi tra il 1985 e i giorni nostri, scritta da Galina Denissova, dove si ripercorre parallelamente la fine dell’Urss e la nascita del putinismo e parallelamente si raccontano le avventure, anzi le disavventure degli intellettuali russi. Per molti di loro, evidentemente non “bravi cittadini”, è difficile essere apprezzati dato che non applaudono il capo (che, a differenza che qui, non ha una casa editrice con la quale guadagna anche dagli scritti degli oppositori). La causa di tutto ciò è dovuta, secondo Vladimir Sorokin, al prevalere dei “musi” sugli intellettuali, una vittoria del modello sovietico la cui ombra copra ancora gran parte di quel mondo: «Quasi tutto ciò che è stato compiuto dai bolscevichi è imperdonabile, ma la distruzione programmatica delle élite russe è stato il crimine più folle e probabilmente il più grave. Un consapevole genocidio delle élite. Con il loro bulldozer rosso hanno rimosso l’humus, lo stato fertile della nazione, portando alla luce l’argilla e la sabbia sulle quali sarebbe germogliato il trash genetico. (…) In Unione sovietica per settant’anni hanno cercato di allevare l’uomo nuovo. E alla fine, bisogna ammetterlo, ci sono riusciti. (…) L’uomo nuovo si è rivelato geneticamente resistente. E in Russia la maggioranza è costituita da uomini come questo. Lui ha un’idea prestabilita del bene e del male, dei valori umani e di quelli dello Stato, del futuro e del passato del Paese. E con lui è possibile costruire la Grande Russia».
Ad maiora.
Viktor Erofeev, Eduard Limonov, Vladimir Sorokin
Russian Attack
Salani editore
Milano, 2010
Pagg.190
Euro 14