Ieri diluvio sulla strada (l’unica) che congiunge il sud dell’isola alla capitale, al resto del Paese.
Ricordo che in Bosnia il primo intervento che venne fatto dalle Nazioni Unite fu quello sulle infrastrutture. Non c’era ponte, abbattuto dagli eserciti, che non fosse presto sostituito da un ponte militare. Magari posto un po’ più in la’.
Qui ad Haiti invece a livello di infrastrutture siamo a “carissimo zio”.
Le strade sono fatiscenti e l’arteria che abbiamo percorso ieri, da sud a nord, ti obbliga a 7 ore di macchina per fare meno di 200 chilometri: i due ponti crollati sono “sostituiti” solo da altrettanti guadi nei fiume.
L’ingresso nella capitale può portarti via anche due ore. E qualunque spostamento in citta’ dura non meno di un’ora. Questo significa non avere alcuna certezza di appuntamento.
Per due giornalisti in trasferta qui, un disagio temporaneo. Ma per tutti coloro che a livello umanitario operano sull’isola, le strade distrutte rendono complesso anche portare gli aiuti. Per non dire di quanti qui ci abitano e cercano di viverci.
E l’Onu che ci sta a fare qui? La missione Minustah (acronimo francese di Missione per la stabilizzazione di Haiti) e’ qui nel 2004 con una funzione di peacekeeping. Non e’ stato riformulato l’incarico nemmeno dopo il devastante terremoto che ha distrutto l’isola.
Ora le stesse Nazioni Unite pensano addirittura possano esser stati i soldati di Minustah a portare il colera sull’isola. Soldati dal Nepal, dove la malattia e’ endemica a differenza che ad Haiti.
La missione e’ costata ad oggi 500 milioni di dollari e la morte di 25 soldati.
Ad maiora.