Day: 26 ottobre 2010

Vita ad Haiti: l’acqua di Les Cayes

Lasciamo per qualche ora Port-au-Prince e ci dirigiamo a sud, verso Les Cayes. L’emergenza colera è distante da qui, ma ci sono riunioni su riunioni per prepararsi all’impatto. Obiettivo: individuare un’area, pianeggiante e asciutta dove organizzare la quarantena. Compito non semplice in un’area umida come questa.

Non sarà facile comunque fermare l’epidemia. In assenza di acqua corrente nelle case, la vita si concentra su rigagnoli e fiumi. Che spesso fanno sia da discarica che da bagno pubblico.

Avsi e tutte le ong che sono presenti qui ad Haiti stanno provando a spiegare a tutti quali le precauzioni da prendere per evitare il contagio, Ma al momento sembrano rimanere inascoltate. Qui d’altronde il colera manca da un centinaio d’anni e quindi non c’è abitudine a “trattarlo”.

Bisognerebbe anche capire come è arrivato su quest’isola bella e sfortunata. Per nove mesi, dal terremoto in avanti, c’erano state altre malattie, ma mai il colera. Ora che c’è nelle tendopoli rischia di fare una strage.

Ora guardate questa immagine. Spiaggia lunghissima, mare caldo, palme a fare da sfondo. Haiti è anche questo e un tempo qui arrivavano i turisti. Ora tutto ciò è inimmaginabile. O meglio è pensabile solo oltre frontiera, nella repubblica domenicana.

Qui tra colera, terremoto e guerre civili, difficile che qualcuno venga presto a fare il bagno in queste acque.

Il rilancio qui potrà passare dall’agricoltura. Ma di questo magari parliamo domani.

Ad maiora.

Vita ad Haiti: l’arrivo a Port-Au-Prince

Il volo che collega Parigi ad Haiti (via Guadalupe) e’ pieno come un uovo. A parte qualche giornalista sono tutti cooperanti. Si fanno incessantemente la stessa domanda: sei qui per il colera? E la risposta e’ sempre affermativa.

L’allarme oggi sembra meno grave di ieri, ma un funzionario dell’Undp catapultato qui da non so dove mi ha detto che fermare un’epidemia di colera in un luogo come Haiti non sara’ facile.

Oltre ai palazzi crollati e le macerie ovunque, cio’ che salta all’occhio e’ infatti l’incredibile promisciuta’. Sembra di entrare in un formicaio e le macchine procedono a fatica, sia perche’ le strade sono messe malissimo, sia perche’ c’e’ gente ovunque. E pure rigagnoli d’acqua. E rifiuti.

E anche le tende sono ovunque.

Il traffico caotico di Port-au-Prince viene rallentato anche dai camion che fanno pubblicita’ ai candidati delle prossime elezioni presidenziali. Sono previste a fine novembre, ma la radio ha detto che potrebbero essere fatte slittare di un mese, causa colera.

Staremo a vedere.

Ad maiora.

Meglio italiani che musulmani

Ha un titolo che a prima vista ti fa immaginare un film in cui mettere a nudo i tanti difetti dei nostri compaesani. E la prima scena de “L’italien”,  con un uomo che si sbarba e sceglie con accuratezza i vestiti da indossare prima di salire su una Maserati rombante sembra confermare lo stereotipo.

A maggior ragione se il tutto e’ accompagnato dalle note “da vero italiano” di Toto Cotugno (e la bella scelta di canzoni tricolori diverrà sempre più agrodolce col passare dei minuti).

Mai farsi condizionare dalle apparenze. Dino, il protagonista di questa bella pellicola francese diretta da Olivier Baroux, finge solo di essere italiano. Il perche’ lo spiega alla fine quando, caduto il suo castello di sabbia, dovrà cercare di rimettere in piedi la sua vita davanti al mondo intero: essere italiano in Francia fa figo, e rende la vita molto più facile rispetto a chiamarsi Mourad, immigrato proveniente dall’Algeria, ormai completamente francesizzato. Per esserlo appieno aveva dimenticato radici e religione. E proprio il promettere al padre di seguire il Ramadan, lo obbligherà ad esporsi, e  a cadere in errore.

Una pellicola che fa riflettere questa se pensiamo ai vecchi film nei quali gli italiani immigrati all’estero erano presi per il culo perche’ esultavano ai gol degli azzurri (ma in Germania anche  e ancora per questo, un uomo ci ha lasciato le penne questa estate). Gli italiani-maccaroni all’estero continuano a non godere di buona fama. Ma nella gabbia di Schengen, siamo comunque dei privilegiati. E alla fine, grazie alla moda e al design, abbiamo un aspetto charmant che altri non hanno.

E soprattutto non siamo musulmani: fatto che nella perdurante fase islamofobica seguita alla strage delle Torri Gemelle ha ancora il suo peso. “Non sapevo che ci fossero italiani islamici”, gli dice il collega che lo scopre a pregare in ufficio e che gli farà saltare il castello di bugie.

Bugie che ti permettono di trovare lavoro e una bella fidanzata bionda (che non potrai mai pero’ presentare ai genitori, che ogni giorno mangiano cous cous). Ma che alla fine hanno le gambe corte e lasciano il segno: quello che siamo prima o poi esce.

Il tempo e’ galantuomo.  Come un italiano.

Mah.

Ad maiora.